Urbanizzazione e turismo insostenibile – Si tratta di due comparti collegati. Negli ultimi 65 anni, scrivono dal Wwf, la velocità dell’urbanizzazione delle linee di costa è “proceduta ad un ritmo di consumo di suolo di 10 km/anno, con un dato sostanzialmente analogo per le coste adriatica, tirrenica e delle due isole maggiori (Sicilia e Sardegna)”. Un’aggressione di cemento, legata anche a una percezione deviata del turismo sulla costa, che si collega al carico, in generale, che il turista può avere sul territorio. L’Ispra spiega che per “monitorare il carico del turismo sul territorio, in particolare i fattori responsabili delle pressioni e degli impatti esercitati sull’ambiente, si considera il rapporto ‘numero degli arrivi per popolazione residente’, indice del peso del turismo sulla regione, e il rapporto ‘presenze per popolazione residente’”.
È chiaro che i flussi turistici determinano un ampliamento provvisorio della popolazione e una maggiore necessità di servizi che vanno a spingere su quelle che sono emergenze costanti del sistema Sicilia, tra tutte l’assenza di una corretta depurazione che va a ricadere direttamente sulla qualità delle acque. Non è un caso che sull’Isola pendano ben tre procedure di infrazione (due allo stato di sentenza) e che appena 7 località e 20 spiagge isolane siano state premiate con le bandiere blu della Fondazione per l’educazione ambiente (Fee), a fronte di 342 distribuite alle spiagge di tutta Italia.
Non solo depurazione, ma anche rifiuti. L’assenza di controllo e di un sistema di gestione adeguato, che ad ogni estate manifesta i ben noti cumuli ai bordi delle strade, vengono appesantiti da quelli che finiscono in mare. Per Legambiente le principali fonti dei rifiuti galleggianti monitorati sono la cattiva gestione dei rifiuti urbani e dei reflui civili oltre che l’abbandono consapevole (29%) e le attività produttive, tra cui pesca, agricoltura, industria (20%).
Il pericolo petrolio è dietro l’angolo. Non ci sono soltanto le trivelle – nel 2016 la produzione di greggio nel canale di Sicilia è stata pari a 277 mila tonnellate a fronte di 6 piattaforme e 35 pozzi, 3 concessioni (2 Eni e 1 Edison-Eni) – ma anche i trasporti. Uno studio del Rempec (Regional marine pollution emergency response centre for the mediterranean sea), effettuato nell’arco di tempo che va dal 1977 al 2003, ha censito ben 376 incidenti nel Mare nostrum con petrolio e 94 con sostanze pericolose e nocive con sversamento di petrolio e sostanze nocive e pericolose. Una decina si sono registrati nelle vicinanze delle coste isolane.
In Sicilia questa emergenza è particolarmente evidente. Il Mediterraneo, per vocazione turistica e commerciale, è tra i mari più a rischio del mondo. Stando alle ultime rilevazioni effettuate da Goletta Verde nell’estate del 2016, rivelate lo scorso settembre a Palermo, la densità dei rifiuti riscontrata per l’intera area indagata è stata di 58 rifiuti per ogni kmq di mare. “Una densità – si legge nel comunicato – che arriva praticamente al doppio (più di 100 rifiuti al kmq) in Sicilia, dove è stato monitorato il tratto di navigazione tra Capo d’Orlando e Tindari (Me)”. Tramite il supporto dell’Ispra, Legambiente ha anche monitorato “il tratto di mare dell’Isola di Lipari dove sono stati registrati 102 micro particelle di plastica per 1000 metri cubi di acqua”.
Secondo uno studio del Centro comune di ricerca della Commissione europea, ci sono circa 250 miliardi di micro particelle di plastica che galleggiano nel Mediterraneo ed è proprio la plastica ad avere il più elevato impatto dannoso diretto e indiretto sull’ambiente marino, coinvolgendo la fauna marina che ha solo il 20% di probabilità di salvarsi quando viene intrappolata. E molti altri vengono “debilitati, mutilati e uccisi da rifiuti marini”.
Il V Rapporto sull’Economia del Mare, pubblicato nel 2016 da Unioncamere, ha identificato nel Mezzogiorno e nel Centro Italia “le due macro-ripartizioni a più alta concentrazione di imprese della blue economy, con un’incidenza del 4,0% e del 4,1% sui rispettivi totali imprenditoriali regionali (in valori assoluti sono 79.989 le imprese dell’economia del mare nel Mezzogiorno e 53.901 quelle nel Centro)”.
In Sicilia l’incidenza delle imprese dell’economia del mare sul totale dell’economia della regione vale il 4,6%, cioè 20.755 aziende che operano all’interno del settore. È il quarto dato in valore assoluto che vale circa 3,9 miliardi di euro con un’incidenza del 5,1% sul totale dell’economia (dati Uniocamere 2015) per 110 mila occupati (7,4% del totale isolano).
Numeri che potrebbero crescere. Lo ha scritto l’Ispra nel rapporto “Una valutazione economica degli ecosistemi marini e un’analisi di scenario economico al 2020” che vede Sicilia e Sardegna tra le regioni più propense alla crescita, ma senza cura per la sostenibilità non si potrà da nessuna parte.