Il "fallimento" di Saviano mal esempio per i giovani - QdS

Il “fallimento” di Saviano mal esempio per i giovani

Carlo Alberto Tregua

Il “fallimento” di Saviano mal esempio per i giovani

mercoledì 18 Ottobre 2017

Progettare il successo, non la caduta

Nelle scorse settimane, il celebre scrittore Roberto Saviano ha espresso a giornalisti e conduttori compiacenti un pensiero eccelso: il “fallimento” di una persona, nella vita, nella società, negli affari, è da considerarsi un evento normale, da prendere come se nulla fosse. Con ciò omologandolo al successo.
Secondo questo stravagante pensiero, non vi è differenza fra il successo e l’insuccesso, con la conseguenza che non vi è differenza fra chi opera bene e chi opera male, chi ce la mette tutta e chi è fannullone, chi lavora dodici ore al giorno e chi non lavora per niente. Proprio un bel messaggio viene dato ai cittadini e, in particolare, ai giovani.
Il fallimento nella vita e negli affari è il punto finale di un processo e conseguente ad un progetto (o alla sua assenza) nato male, non ponderato. Un progetto e un processo mal realizzato con la conseguenza della caduta finale.
Ora, se si cade durante il percorso e poi si ha la capacità e la forza di rialzarsi, si può recuperare quello che è andato male.

Anzi, bisogna trovare in sé la forza per rialzarsi e ricominciare, per individuare altre soluzioni quando quelle già messe in campo non hanno funzionato, in modo da capire bene cosa fare per realizzare il progetto.
Ma spesso, esso non c’è, oppure è stato concepito male o anche si è preparato con fretta senza l’opportuna ponderazione e la necessaria riflessione. Ma come si può affermare che il fallimento è una cosa normale quando è a tutti noto che si tratta della conclusione patologica di un percorso durante il quale si sono commessi errori, si è agito con leggerezza, non c’è stata la necessaria capacità per prevedere gli avvenimenti e per gestire la propria azione di conseguenza?
Ai giovani la scuola e la famiglia dovrebbero inculcare positività, dovrebbero indicare strade di crescita umana e professionale, dovrebbero far comprendere che si rispetta il prossimo quando si rispetta sé stessi.
Il primo rispetto per sé stessi deriva dalla consapevolezza della propria capacità di affrontare i problemi e di risolverli, non di fallire come afferma il noto maitre à penser. Se il nostro Paese va peggio di altri è anche per questa mentalità un po’ derelitta ed autocompassionevole.
 

Una sorta di mammismo diffuso più al Sud secondo il quale, per esempio, una madre anziché sgridare adeguatamente il figlio che ha preso un brutto voto perché non ha studiato o è stato disattento in aula, manifesta piuttosto disappunto nei confronti dell’insegnante.
O anche, quando vi sono delle mamme della borghesia che portano i loro bambini di tre o quattro anni nei negozi e chiedono loro: “Che cosa vi piacerebbe comprare?” Ma cosa volete che capisca un bambino di tre o quattro anni? Esprimerà solo capricci perché, fin da piccolo, i genitori non gli hanno insegnato che prima bisogna dare e poi chiedere.
Quanto precede è conseguenza della caduta dei valori etici eterni ed anche di gente come Saviano, molto popolare nei social, che spiega al colto e all’inclita come e perché non occorra fare il proprio dovere, non occorra spandere sudore e fare sacrifici per raggiungere un risultato positivo; con la conseguenza che il fallimento è la certificazione che il soggetto non si è impegnato adeguatamente per qualità e quantità. Però è normale!

Ogni essere vivente, appena raggiunge l’età della ragione, dovrebbe cercare di capire che cosa è la vita, da dove proviene la specie umana, la sua evoluzione nel corso degli anni e le sue prospettive.
Insomma, ogni essere umano ha il dovere di capire, capire e capire, facendo ogni sforzo per assimilare tutto ciò che è stato scritto nel corso dei secoli, in modo da proiettarsi nel futuro in maniera adeguata.
I giovani sono spesso disorientati perché vedono esempi di adulti che sono in contrasto con quanto si scriveva prima. Il consumismo, poi, ha fatto la sua parte per materializzare la vita delle persone, facendola allontanare dai valori etici prima richiamati: apparire anziché essere, avere anziché dare. Dilemmi eterni, trattati ampiamente da filosofi e letterati.
Nei nostri giorni, con la diffusione dei social, le informazioni sono diventate come coriandoli, per cui quando vanno in giro si disperdono: così non si capisce nulla.
E invece, bisogna capire per vivere adeguatamente e non per fallire.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017