Dissesto, la Sicilia su una polveriera - QdS

Dissesto, la Sicilia su una polveriera

Rosario Battiato

Dissesto, la Sicilia su una polveriera

mercoledì 28 Marzo 2018

La Regione ha mappato i siti in pericolo: più di 20 mila tra rischio geomorfologico e idraulico. Coinvolti otto comuni su dieci, ma le Amministrazioni dormono e perdono i fondi 

PALERMO – I numeri non esauriscono il peso del rischio relativo al dissesto siciliano. L’elevata presenza di comuni coinvolti con almeno un’area a rischio (circa 8 su dieci) e la bassa percentuale di superficie regionale totale (complessivamente inferiore al 2%) si intrecciano con i clamorosi ritardi nell’apertura dei cantieri e le pericolose connessioni che riguardano le zone più esposte con i beni culturali, le scuole e le infrastrutture viarie.
 
I dati, contenuti in una circolare del dipartimento dell’Ambiente dello scorso 16 marzo, arrivano dalle analisi del piano stralcio per l’assetto idrogeologico che definisce lo scenario di riferimento sulla situazione di pericolosità geormorfologica, idraulica e di erosione costiera.
 
Le tre fasce più elevate del dissesto geomorfologico (da medio a molto elevato) interessano più dell’80% dei comuni isolani, mentre il rischio idraulico ne include il 25% del totale nella fascia più elevata. Il coinvolgimento dei comuni non implica, com’è ovvio, la compromissione dell’intera superficie, ma di certo ne identifica problematiche sufficientemente gravi da tenere in considerazione la messa in sicurezza o comunque provvedimenti di qualche natura. I quattro livelli di rischio determinano più di 25 mila aree a rischio per la tipologia geormorfologica e quasi 5 mila per l’idraulica.
 
Incrociando i vari flussi di dati che arrivano da Anci, Ispra e Istat, è stato inoltre possibile riempire questi luoghi minacciati dal dissesto con le strutture isolane. In particolare, il rischio idraulico, considerando tutti i livelli di rischio, abbraccia oltre 150 scuole, più di 170 beni culturali e circa 80 mila persone. I cinque livelli di rischio della pericolosità da frana incombono su oltre 5 mila imprese, 662 beni culturali e circa 100 mila persone.
 
Elementi, quelli del dissesto, che si innestano pericolosamente in un territorio che fatica a trovare la sua messa in sicurezza anche nell’aspetto infrastrutturale e viario. È sufficiente riprendere un report della Protezione civile regionale per identificare il censimento dei “nodi”, cioè le “intersezioni tra viabilità e corsi d’acqua”. In altri termini si tratta di “qualsivoglia situazione per la quale sia temibile una situazione di potenziale rischio relativa all’interferenza tra acque superficiali ed elementi antropici”. Nell’Isola ce ne sono circa 13 mila, tra cui ben 12mila considerati a rischio potenziale.
 
E le conseguenze sono abbastanza evidenti. Tra il 2009 e il 2016, secondo il monitoraggio Ispra, in Sicilia si sono registrati ben 521 eventi di dissesto, tra cui 64 con danni a persone, e 53 vittime coinvolte. Un altro report, con una diversa metodologia di analisi, riguarda i primi quindici anni del nuovo millennio: tra il 2000 e il 2015, secondo dati del dipartimento regionale della Protezione civile, riportati nel “rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia e ricadute nel sistema di protezione civile”, il dissesto ha fatto registrare 168 eventi, 58 vittime e danni per poco meno di 4 miliardi di euro.
 
Evidenze che non hanno smosso più di tanto i nostri Comuni che a metà mese si sono ritrovati sulla propria casella mail una circolare del dipartimento dell’Ambiente, nella quale si sottolinea l’urgenza di proseguire nei propri compiti di pianificazione e programmazione e della necessità di raccordarsi con le amministrazioni comunali, considerando appunto che una “elevatissima percentuale dei comuni della regione è interessata dalla presenza di aree a rischio idrogeologico (da frana o da esondazione), che riguardano anche i centri abitati”.
 
Dal momento che le due pianificazioni, quella regionale e comunale, devono essere complementari, appare necessario che le opere di mitigazione del rischio vengano “individuate e progettate nel rispetto dei principi definiti dalla pianificazione regionale, e che la priorità dei progetti da finanziare venga preferenzialmente definita tenendo conto degli elementi esposti e della vulnerabilità delle aree a rischio”. Già nel gennaio dello scorso anno, l’assessorato aveva fornito tutte le indicazioni necessarie, in relazione alle modalità di validazione e valutazione delle richieste di finanziamento per l’inserimento nella piattaforma nazionale (il Rendis, Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo).
 
Adesso il tempo è agli sgoccioli. Entro la metà di aprile – la circolare concede due mesi di tempo dalla pubblicazione (16 marzo) – i Comuni dovranno definire “un quadro organico e aggiornato di programmazione” che includa “anche eventuali situazioni di pericolosità e rischio non ancora censite dal piano (pai, ndr)”. Tra i documenti richiesti ci sono una cartografia di sintesi del rischio idrogeologico e un documento di programmazione con l’elenco delle opere di mitigazione già realizzate, altri due elenchi dei progetti di mitigazione finanziati e non finanziati e caricati sul Rendis, la segnalazione di eventuali dissesti e una tabella con elenco dei dissesti idrogeologici.
 

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