Formazione, il peccato originale - QdS

Formazione, il peccato originale

Michele Giuliano

Formazione, il peccato originale

venerdì 30 Marzo 2018

Disoccupazione: Sicilia 21,4%, Lombardia 6,2%. L’origine dello scollamento tra corsi e mercato del lavoro. Regione: 450 enti accreditati, nessun obbligo di sentire associazioni di categoria e Cpi 

Sicilia con il 21,4% di disoccupati, la Lombardia al 6,2. La media italiana è ferma al 10,8. La fotografia la “scatta” al 31 dicembre del 2017 l’Istat. Premessa importante per approcciare al vero nocciolo del problema tutto siciliano: basta con gli alibi della crisi, la verità si cela dietro ad un sistema che ha fatto acqua da tutte le parti. Senza ombra di dubbio la misura più efficace per contrastare la disoccupazione è sempre stata la formazione professionale. Nulla da eccepire, in linea teorica, perchè senza dubbio la formazione, e quindi la qualificazione o riqualificazione dell’individuo in cerca di un’occupazione, è lo strumento principe. Il problema però è passare dalla linea teorica alla pratica, specie quando ci si trova in Sicilia e spesso la politica è andata a braccetto con certi sistemi deformati.
 
Sicuramente nella sfera della formazione professionale finanziata dal pubblico la Sicilia non ha brillato per efficienza. Un sistema che sin dalle fondamenta è apparso marcio. In primis per l’assenza assoluta di obblighi e doveri a garanzia della qualità degli enti di formazione da accreditare. Nel “Regolamento di attuazione” dell’articolo 86 della legge regionale del 7 maggio 2015, la numero 9, su “Disposizioni per l’accreditamento degli organismi formativi operanti nel sistema della formazione professionale siciliana” ad esempio risalta agli occhi come un ente di formazione per accreditarsi, e quindi essere autorizzato a poter effettuare corsi finanziati dalla Regione, non abbia alcun obbligo rispetto all’organizzazione dei corsi in sè. In poche parole un vero e proprio cane sciolto libero di sguazzare (almeno lo è stato sino al 2015, dal momento che negli ultimi due anni i corsi tradizionali non si sono più organizzati, nda) nella massa infinita di soldi pubblici. Ad esempio non ha alcun obbligo a relazionarsi con gli enti datoriali che possono dare indicazioni su cosa fondare le attività formative per meglio qualificare la persona in ambiti che richiede davvero il mercato del lavoro. Questo praticamente ha portato ad una organizzazione di corsi assolutamente senza seguito, tutti in fotocopia: tecnici di computer e operatori del benessere, solo per fare alcuni esempi tra i corsi più organizzati e senza sbocchi nel mondo reale del lavoro.
 
Il risultato di questa attività formativa ha portato a far crescere la disoccupazione nell’Isola nonostante il fiume di denaro speso dal pubblico: come più volte denunciato dal QdS negli ultimi 12 anni sono stati spesi qualcosa come 2,3 miliardi di euro per i corsi di formazione gratuiti per il corsista, quindi a carico del bilancio regionale e più recentemente cofinanziato anche dall’Unione Europa. Sprechi enormi che sono sotto gli occhi di tutti mettendo a confronto la spesa del 2015 delle attività formative, ultima finanziata in Sicilia, con quella di altre Regioni. Quell’anno mentre nell’Isola si spendevano 213 milioni di euro, con una media di 43 euro per abitante, in Lombardia si stava sotto i 27 euro, addirittura sotto gli 8 euro in Piemonte, stessa cifra su per giù anche in Emilia Romagna, nelle Marche si è arrivati a 18 euro.
 
In dieci anni la Sicilia, secondo l’ultimo documento economico finanziario regionale, ha perso 223.600 posti con meno di 44 anni e ne ha creato 94.200, coperti da ultra 44enni.
 
La perdita di occupazione è di 130.000 unità. Tra disoccupati, che sono arrivati alla cifra record di 383.000, e coloro che vorrebbero lavorare la disoccupazione coinvolge quasi un milione di siciliani, circa 300 mila in più del 2007.
 
Prima del blocco dei corsi, la Regione manteneva 7.227 addetti nei vari enti di formazione, di cui 3.211 amministrativi (per un costo complessivo di 90 milioni di euro) e 4.016 docenti (per un costo complessivo di 123 milioni di euro). Un vero paradosso ed una sproporzione di per sé già evidente: ad un docente corrisponde quasi un dipendente che sta dietro la scrivania quando i corsi sono fatti proprio per insegnare un mestiere.
 

 
 
Le idee di Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Palermo
 
 
“Quella sviluppata sino ad oggi non è stata formazione”. Esordisce così, in modo impietoso, il presidente di Confindustria Palermo Alessandro Albanese quando gli si chiede un giudizio sulla formazione professionale siciliana di questi anni finanziata con i fondi pubblici della Regione e, negli ultimi tempi, dall’Unione Europea.
“Il fine poi è diventato mezzo – aggiunge -, vale a dire che il mezzo era quello che serviva a foraggiare per il tramite degli enti personaggi politici. Un sistema che poi ha creato dei formatori che non hanno formato un granchè. Nei fatti non formavano niente, era solo una formazione autoreferenziale”. Commento schietto e duro che però finisce per racchiudere, in maniera cruda, gli anni di sprechi di un settore mai decollato e che mai ha convinto nessuno.
Il numero uno degli industriali di Palermo, a specifica domanda se non ritenga utile che come obbligo gli enti debbano certificare un raccordo con le associazioni di categoria per realizzare corsi di formazione utili al mercato, risponde: “Potrebbe sicuramente essere l’occasione per cambiare le regole – evidenzia Albanese – e per rendere quindi obbligatorio questo passaggio in modo da creare una formazione che sia in grado di rispondere alle reali esigenze del mondo del lavoro”.
In realtà il presidente palermitano di Confindustria ha tutt’altra idea e la lancia senza remore: “Io ritengo che la migliore formazione possibile – dice – è quella che si fa dentro le aziende e con i voucher. Il tirocinio autofinanziato con le aziende è il meglio”.
Quindi cancellerebbe proprio gli enti di formazione? “Il problema è un altro – ribatte Albanese -: che ne facciamo di tutto quel personale degli enti? La prima cosa che mi viene in mente è quello di mandarli a casa di chi ha inventato questo sistema. Non lo possiamo fare. Siccome sono persone e hanno famiglia potremmo pensare a una riqualificazione di questo bacino per immetterli in servizio in ambiti di cui la Sicilia necessita”.
 

 
L’assessore Roberto Lagalla sta provando a cambiare il sistema
 
Con un passato da Rettore dell’università di Palermo il neoassessore regionale alla Formazione Roberto Lagalla sa quanto sia importante la formazione per sbloccare davvero il mondo del lavoro. Ecco perchè dal suo insediamento sta dando delle linee guida che potrebbero davvero cambiare il volto a questa formazione regionale mangiona e sprecona.
Lo ha fatto con le recenti direttive sull’avviso a Catalogo, quello che governa i corsi tradizionali (per intenderci l’ex Prof e Avviso 8), stilando un elenco di ben 157 professioni a cui gli enti devono attenersi per l’organizzazione dei loro corsi: “Le direttive – sostiene Lagalla – sono frutto della base conoscitiva rappresentata dall’analisi di specifici studi e rilevazioni, quindi il sistema informativo Excelsior di Unioncamere, Studi Banca d’Italia, indagine Faro e altro ancora, nonché dalle proposte pervenute in occasione del confronto con le parti sociali ed in particolare modo con le rappresentanze del sistema delle imprese”.
In pratica i profili professionali partoriti dovrebbero essere quelli che sono ricercati dalle imprese siciliane. “In questo modo – aggiunge Lagalla – vogliamo sostenere, in un’ottica di contrasto alla povertà, alla deprivazione e all’esclusione sociale anche attraverso la riqualificazione del sistema della formazione professionale in Sicilia, un’offerta formativa volta ad accrescere l’occupabilità e a favorire il re-inserimento occupazionale”.
La nuova formazione dell’assessore si baserà sulla “concessione dei contributi, in via sperimentale, mediante procedura a sportello, previa costituzione del catalogo dell’offerta formativa sulla base dei settori economici strategici e dei profili formativi e gli obiettivi selezionati all’interno del Repertorio delle qualificazioni della Regione Siciliana”. Nella speranza che questa volta la carta diventi realtà.
 

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