Chi gira la testa è connivente e complice - QdS

Chi gira la testa è connivente e complice

Carlo Alberto Tregua

Chi gira la testa è connivente e complice

sabato 14 Luglio 2018

Corruzione, evasione, disservizi pubblici 

Il presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), Raffaele Cantone, venuto al nostro forum pubblicato il 21 aprile 2015, ha ribadito in questi giorni che non è più possibile che cittadini e burocrati girino la testa dall’altra parte per non vedere le porcherie che accadono.
Chi gira la testa dall’altro lato – dice Cantone – non solo è connivente ma è anche complice. è venuto il momento in cui i cittadini devono usare il controllo affinché si sentano parte della Comunità, che è un bene comune da tutelare individualmente.
Non è possibile che la gente continui a tenere pulita la casa fino al proprio uscio (quando lo fa), per poi insozzare strade, piazze ed altri luoghi pubblici.
Non è neanche possibile che il cittadino non denunci tutto alla Pubblica autorità quando vede qualcuno che butta la spazzatura per strada anziché nei cassonetti, o che deposita suppellettili anziché chiamare l’apposito ufficio comunale, o che sfregia muri, o che compie altri gesti incivili.
 
Il controllo civico dei cittadini si manifesta attraverso un’azione di segnalazione anche con lo smartphone, possibilmente documentando tutto con qualche fotografia ed assumendosi la responsabilità di un atto importante che col tempo dovrebbe essere imitato.
La denuncia del cittadino si è diffusa in modo capillare nella rete. Ora occorre che venga adoperata nella vita di tutti i giorni, per evitare che il silenzio imperante e diffuso costituisca una sorta di tutela per chi non fa il proprio dovere di cittadino.
Questa denuncia di chi non volta più la testa dall’altro lato ha una maggiore valenza all’interno della pubblica amministrazione (orrida la definizione inglese: whistleblowing), all’interno della quale la maggior parte di dirigenti e dipendenti è formata da persone per bene che fanno il proprio lavoro. Però esistono schiere minoritarie di personale che se ne infischia del proprio lavoro, e se non va fuori dopo aver fatto vistare il badge ai colleghi, resta dentro a giocare con internet o a fare parole crociate.
Tutto cio è possibile perché i dirigenti non esercitano i controlli sui risultati dei dipendenti di cui sono responsabili.
 
La questione è semplice. Non vi è organizzazione di servizi, compresi quelli pubblici, che non abbia come fase terminale ed essenziale il controllo, ovvero quello che alle elementari ci hanno insegnato: la prova del nove.
Tre per sei fa diciotto, ma per esserne certo occorre moltiplicare sei per tre e, se è vero come è vero, che fa diciotto, vuol dire che la prima operazione era esatta.
Nelle procedure pubbliche sono inseriti controlli che però hanno valenza nominale più che sostanziale. In altri termini, se il controllo da un risultato diverso dall’obiettivo, nessuno lo rileva e, peggio, nessuno viene sanzionato.
Nelle cosiddette pagelle di pubblici dipendenti e dirigenti, se il voto previsto è da uno a quattro, tutti prendono quattro, cioè sono tutti bravi, cioè livellati al massimo e quindi premiabili.
 
Il Codice penale non prevede il “reato di disservizio” cioè quando gli obiettivi non vengono raggiunti da un dirigente e dalla sua squadra. Ma non c’è neanche un sistema sanzionatorio efficace per lo stesso motivo.
E allora, dato che la carne è debole, per quale motivo pubblici dirigenti e dipendenti di qualunque branca amministrativa dovrebbero lavorare producendo servizi efficienti da fornire ai cittadini, se non lavorando o lavorando male, percepiscono gli stessi assegni stipendiali, indennità, premi e ammennicoli vari?
Nel sistema Italia ci dovrebbe essere la convenienza a lavorare bene, nel pubblico ma anche nel privato: quella convenienza che dovrebbe esserci per indurre chi deve dichiarare le imposte a non ometterle, chi deve pagare le cartelle esattoriali a non rinviare il pagamento, insomma occorrerebbe la convenienza a fare il proprio dovere anziché a comportarsi da menefreghista.
Questa convenienza deriva dalla cultura del merito per cui ineluttabilmente chi è bravo viene premiato e chi è fannullone viene sanzionato.
Esattamente come avviene in Natura ove niente è perdonato.

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