Mafia: condizionavano mercato ortofrutticolo, 19 arresti a Siracusa - QdS

Mafia: condizionavano mercato ortofrutticolo, 19 arresti a Siracusa

redazione

Mafia: condizionavano mercato ortofrutticolo, 19 arresti a Siracusa

mercoledì 25 Luglio 2018

Il boss Salvatore Giuliano e il figlio Gabriele arrestati nell'operazione "Araba Fenice" della Polizia di Stato aretusea su ordinanze del Gip di Catania. Un gruppo esercitando l'intimidazione aveva monopolizzato l'intero mercato, in particolare dei pomodori, chiedendo il pizzo agli agricoltori di Pachino. I Giuliano avevano progettato un attentato contro il giornalista Borrometi. La denuncia di Coldiretti

La Polizia di Stato di Siracusa, in un’operazione condotta da sessanta agenti,  ha eseguito 19 ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Catania, a carico di altrettanti soggetti, ritenuti responsabili a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furti in abitazioni ed aziende agricole  tra Pachino e Porto Palo di Capo Passero.
 
Secondo la polizia a capo della cosca ci sarebbe boss Salvatore Giuliano, di 55 anni, arrestato assieme al figlio Gabriele, di 33.
 
Il clan, grazie alla forza di intimidazione esercitata dai suoi appartenenti, era in grado di condizionare le attività economiche della zona, traendone indebiti vantaggi.
 
 
 
Gli altri arrestati, alcuni già in stato di detenzione, sono i fratelli Claudio, Giovanni e Giuseppe Aprile, rispettivamente di 35, 40, e 41 anni; Giuseppe Vizzini, "u marcuottu", 54 anni, e il figlio Simone, 29 anni, entrambi detenuti; Nunzio Agatino Lorenzo Scalisi, 59 anni, assistente capo della Polizia in servizio nel commissariato di Pachino; Massimo Caccamo, "u rossu", 43 anni; Salvatore Cannavò, detto "Giovanni Cicala", 54 anni; Giuseppe Crispino, alias "u barberi", 40 anni, già detenuto; Rosario Agosta, 45 anni; Antonio Arangio, 42 anni e Sergio Arangio, 26 anni; Salvatore Bosco, 33 anni; Antonino Cannarella, 23 anni; Giuseppe Di Salvo, 21 anni; Vincenzo Gugliotta, 26 anni; Massimiliano Salvatore Salvo, 36 anni, detenuto.
 
I Giuliano erano saliti alla ribalta della cronaca qualche mese fa perché avrebbero tentato di organizzare un attentato contro il giornalista Paolo Borrometi che aveva denunciato proprio questo sistema illegale esteso dai Giuliano  grazie ai legami con il clan Cappello di Catania e al patto di non belligeranza siglato con la consorteria rivale dei Trigila.
 
I Giuliano avevano avviato un’attività imprenditoriale, con l’azienda La Fenice, che imponeva agli agricoltori di Pachino di conferire solo a lei prodotti delle loro serre e così i commercianti e i grandi centri di distribuzione erano obbligati a comprare da quest’unica società.
 
Così il clan Giuliano, secondo la Dda della Procura di Catania, controllava e condizionava il mercato ortofrutticolo di Siracusa, grazie anche al suo potere intimidatorio.
 
Grazie a questo collaudato meccanismo, gli indagati pretendevano il pagamento di una "provvigione", calcolata in percentuale del raccolto prodotto e ceduto agli operatori della piccola e grande distribuzione, che costituiva il corrispettivo per la presunta attività di mediazione contrattuale svolta tra produttori e commercianti.
 
Ma le attività illecite del sodalizio, come detto, non si limitavano al condizionamento illecito del mercato ortofrutticolo.
 
La capacità di penetrazione del clan era tale da colpire anche le altre principali attività economiche della zona, lecite e illecite, come i parcheggi a pagamento, situati a ridosso delle zone balneari e furti di macchinari agricoli e lo spaccio di droga.
 
Contestata anche l’estorsione al titolare di un lido balneare stagionale, costretto a versare una somma di denaro in cambio di un presunto servizio di "guardiania" svolto in suo favore.
 
Al clan si era rivolto anche un assistente capo della polizia, Nunzio Agatino Loreno Scalisi, per non pagare tre mesi di affitto al proprietario della casa che aveva preso in affitto.

La Coldiretti, nel commentare l’operazione condotta dalla Polizia, ha sottolineato che "l’ortofrutta è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi moltiplicano fino al 300% dal campo alla tavola anche per effetto del controllo monopolistico dei mercati operato dalla malavita in certe realtà territoriali".
 
Il business delle agromafie, precisa la Coldiretti, nel 2017 vale 21,8 miliardi nel 2017 con un aumento del 30% secondo il rapporto Coldiretti/Eurispes e Osservatorio Agromafie.
 
Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie, sottolinea la Coldiretti, hanno la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni.
 
 
"È una bella giornata per la legalità e per la lotta alla mafia. Il capomafia Salvatore Giuliano, il figlio Gabriele e altre 17 persone sono stati arrestati. Sono coloro che, fra l’altro, stavano progettando un attentato per far saltare per aria con un’autobomba il giornalista Paolo Borrometi, presidente di Articolo21. Alcuni degli arrestati sono, inoltre, attualmente a processo per minacce di morte aggravate dal metodo mafioso nei confronti dello stesso Borrometi".
 
Lo affermano, in una nota, Fnsi, Associazione Siciliana della Stampa e Usigrai, sull’operazione Araba Fenice.
 
"L’operazione di magistratura e forze dell’ordine dimostra ancora una volta che lo Stato è più forte – prosegue la nota – e chi, come Paolo Borrometi, insieme con altri cronisti siciliani, si impegna da anni per illuminare le periferie del malaffare in quei territori, mettendo spesso a rischio la propria vita, vede oggi ripagato il proprio lavoro. Il sindacato dei giornalisti italiani – ricorda la nota di Stampa italiana, Associazione Siciliana della Stampa e Usigrai – che si è costituito parte civile nei processi a carico di tutti coloro che hanno minacciato o aggredito i cronisti, ringrazia la Procura, le forze dell’Ordine di Catania e tutti i giornalisti che garantiscono la ‘scorta mediatica’ a Paolo Borrometi e agli altri colleghi minacciati e continuerà a battersi affinché venga assicurato a tutti i giornalisti il diritto di fare inchieste e di informare i cittadini".
 
"Paolo Borrometi ha avuto ragione, nelle sue inchieste raccontava il clima che si respirava e le vessazioni provocate dalle famiglie mafiose".
 
Lo afferma Giuseppe Antoci ex Presdeinte del Parco dei Nebrodi scampato a un attentato mafioso nel maggio del 2016, sull’operazione Araba fenice.
 
"Bisogna alzare sempre di più la guardia – continua Antoci – ed evitare il solito negazionismo che, anche nella vicenda Borrometi, si stava attivando spinto certamente da ambienti mafiosi. I fatti raccontati da Borrometi nelle sue inchieste, hanno poi regolarmente visto i protagonisti coinvolti in successive operazioni di servizio".
 
"Il mio grazie – aggiunge Antoci – al Procuratore Zuccaro ed ai suoi Sostituti, al Questore di Siracusa Gabriella Ioppolo e a tutti coloro che ogni giorno scrivono pagine importanti di legalità e contrasto alla mafia ".
 
 
 
 
 
 

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