"Burocrati condannati per cattiva amministrazione" - QdS

“Burocrati condannati per cattiva amministrazione”

Carlo Alberto Tregua

“Burocrati condannati per cattiva amministrazione”

mercoledì 01 Agosto 2018

Il disservizio diventi reato

Scrive Alexis de Tocqueville (1805-1859), nel suo La democrazia in America, pubblicato nel 1835, che nella Costituzione del Massachusetts, relativamente alla Pubblica amministrazione, è scritto: “I funzionari pubblici saranno condannati… per cattiva amministrazione”.
La testimonianza riportata indica come il problema esista da secoli. Però ai nostri tempi, nei quali la burocrazia ha assunto un peso determinante, la sua disfunzione crea ostacoli, ostruisce lo sviluppo con la conseguente disoccupazione.
Essa è uno dei poteri più forti, con un peso determinante nelle decisioni politiche, invertendo di fatto il rapporto di subordinazione dalla politica. Infatti, i dirigenti pubblici hanno competenze accumulate in decine di anni, mentre i politici (non tutti) non ne hanno. Cosicché, nel momento in cui si misurano le proposte dei burocrati con quelle dei politici, spesso quest’ultimi hanno la peggio.
Non scriviamo nulla di nuovo, ma registriamo i fatti.
 
La disfunzione della Pubblica amministrazione accentua l’arte di arrangiarsi di noi italiani. Quando non riusciamo ad ottenere i provvedimenti cui abbiamo diritto, cerchiamo la scorciatoia mediante il favore che spesso si trasforma in atto corruttivo.
Vi sono imprenditori andati in galera perché avevano pagato mazzette a dirigenti pubblici per ottenere il saldo dei propri crediti: una cosa indegna.
Molti funzionari pubblici non fanno circolare i fascicoli nel binario dei procedimenti seguendo due precetti: chi non fa non sbaglia, con la conseguenza di lasciarli languire sui tavoli; secondo, restare in attesa che qualcuno chieda il favore, non necessariamente supportato dalla mazzetta.
Non vogliamo generalizzare: ci sono ancora bravissimi dirigenti, funzionari e dipendenti che fanno per intero il proprio dovere. Non sappiamo se sono maggioranza o minoranza. Sappiamo però che essi non denunciano fannulloni e corrotti, girando la testa dall’altro lato, con ciò rendendosi conniventi o colpevoli.
La fotografia che vi esponiamo è incontrovertibile. Vorremmo sentire voci di virtù burocratiche.
 
A riformare la Pubblica amministrazione, in questo ultimo decennio, ci hanno provato Renato Brunetta, professore universitario, e l’economista Marianna Madia. Il primo aveva introdotto la customer satisfaction, che consisteva nell’installazione di un totem presso tutti gli sportelli pubblici con tre faccine: rossa, gialla e verde. Il cittadino poteva esprimere la sua soddisfazione o insoddisfazione.
Aveva, inoltre, introdotto la classificazione di dirigenti e dipendenti pubblici in tre fasce: una del 25% degli eccellenti, la seconda del 50% per chi stava in rendimenti medi, la terza del 25% in cui si collocavano i fannulloni. Ma la riforma non è mai stata attuatta per la forte resistenza di tutta la burocrazia.
Madia ha fatto approvare dal Parlamento una legge (124/2015) all’acqua fresca, cui sono succeduti una caterva di decreti legislativi, i quali dovevano generare a loro volta Dpcm, Decreti ministeriali e interministeriali. Tutto abortito.
 
I due ministri e l’attuale, Giulia Bongiorno, avrebbero dovuto e dovrebbero istituire un nuovo reato: quello del disservizio. Basterebbero cinque parole: “Il disservizio è un reato”.
Una soluzione forte, ma probabilmente determinante. Non ci può essere una buona amministrazione se non c’è un bilanciamento fra il fare e il non fare. In altri termini, se il non fare non comporta alcuna conseguenza non si capisce la convenienza a evitarlo e, quindi, a fare.
In ogni comportamento umano occorre un bilanciamento: pagare le tasse deve essere più conveniente di non pagarle. Fare il proprio dovere deve essere più vantaggioso che non farlo. Essere efficienti nel proprio lavoro o nel proprio studio deve essere più conveniente che non esserlo.
Ecco, è la convenienza che determina la volontà delle persone, al di là dei precetti morali e di prescrizioni di leggi. Per conseguenza, tutte le norme, ovverosia le regole tra i componenti di una comunità, dovrebbero essere improntati alla convenienza dell’agire bene piuttosto che male.
Sulla questione torneremo perché il male continua a persistere e non si trova la cura. Malavoglia!

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