Italia riparti: controlli a tappeto e... il Ponte - QdS

Italia riparti: controlli a tappeto e… il Ponte

Rosario Battiato

Italia riparti: controlli a tappeto e… il Ponte

martedì 21 Agosto 2018

Fermare le Grandi opere per incapacità e mancata vigilanza è una vera follia. A Genova pagato il tributo più alto a causa del “Non fare”, grave malattia del Paese. Senza l’infrastruttura sullo Stretto, Sicilia esclusa da alta capacità e merci in transito da Suez

PALERMO – La tragedia genovese è stata un’occasione straziante per ribadire la ferma contrarietà stellata alle grandi opere del Paese, Ponte sullo Stretto incluso. L’infrastruttura per collegare Sicilia e Calabria, in ogni caso, non era mai stata realmente presa in considerazione dal governo gialloverde, al punto che lo stesso ministro Toninelli, alla fine di luglio, aveva parlato di un colossale investimento in perdita, non strategico e molto costoso.
 
Un atteggiamento che non sembra considerare nella giusta posizione gli effetti benefici relativi allo sviluppo infrastrutturale, così come raccontano le esperienze maturate nel resto d’Europa: Copenaghen, ad esempio, pur non trovandosi sulla terraferma, è diventata un riferimento infrastrutturale di un’intera area proprio grazie a un complesso sistema di reti ferroviarie e stradali, che prevede, tra le altre cose, diversi ponti di collegamento.
 
La Regione siciliana ci crede ancora. Lo scorso febbraio, l’assessore regionale alle Infrastrutture, Marco Falcone, aveva rilanciato l’ipotesi Ponte sullo Stretto, azzardando l’ennesima data per l’inizio dei lavori: entro il 2023 ci sarebbe stata la prima pietra. Un messaggio che aveva trovato timide aperture anche da Anas e Rfi, nel corso di un convegno a Napoli sul tema “La logistica per lo sviluppo del Mezzogiorno”, e dall’ex ministro Delrio che aveva parlato di un ipotetico impegno finanziario del governo da circa 4 miliardi di euro in seguito allo studio di fattibilità.
 
Nei giorni scorsi, intervistato da Tpi, è stato di nuovo Falcone a riportare l’attenzione sul Ponte, ribadendo come la Regione, che nel giro di un anno chiuderà importanti interventi per A18 e A19 (in concessione al Consorzio per le autostrade siciliane) e per la A19 (Anas), sia al lavoro per realizzare quel sistema infrastrutturale in grado di sfruttare al meglio le potenzialità di un’opera strategica come l’infrastruttura sullo Stretto.
 
Un passaggio necessario per ridurre i tempi di percorrenza e per rendere utili ai fini economici gli investimenti sulla rete ferroviaria isolana che dovrebbe permettere, a partire dal 2024, di portare l’alta capacità lungo la direttrice ferroviaria Me-Ct-Pa. Passaggio essenziale per intercettare il flusso di merci in arrivo da Suez e per entrare a pieno titolo nei mercati europei, riducendo la quota del trasporto su gomma perché, entro il 2030, il 30% delle merci con tragitti superiori ai 300 chilometri dovrà essere trasportato su strada ferrata.
 
 
1. Continuità territoriale a caro prezzo in aereo
Finché resterà confinato alla sola Sicilia, il progetto della direttrice ferroviaria Me-Ct-Pa, che vale 8,9 miliardi e si completerà soltanto dopo il 2025, rischia di restare soltanto un’utile riduzione dei tempi di collegamento tra i più importanti centri siciliani, senza rappresentare quella necessaria spinta per trasformare l’Isola nella porta economica del Mediterraneo.
Anche l’intera cura del ferro per l’Isola, che prevede circa 10 miliardi di euro di investimenti per le ferrovie (tra cui, appunto, la velocizzazione di alcune tratte come Catania-Siracusa e Palermo-Catania), pertanto, potrebbe rappresentare un miglioramento in termini di riduzione dei tempi e qualità del servizio nell’ambito del circuito interno, relegando la continuità territoriale col resto del Paese all’aereo e alla gomma.
Un passaggio certamente determinante anche per incastrare la Sicilia nella rete nazionale: l’Istat riporta che l’alta velocità rappresenta il 23,6% della rete complessiva in Emilia-Romagna e supera il 10% nel Lazio e in Campania, l’1,7% in Toscana, il 4,7% in Lombardia e l’8,5% in Piemonte, considerando che in tutta Italia il binario ad alta velocità coinvolge il 5,5% della rete.
 
2. In Sicilia trasporti quasi del tutto su gomma
L’incrocio di Ponte e ferrovie potrebbe permettere alla Sicilia di non restare tragicamente indietro rispetto a quelli che sono gli standard richiesti dall’Europa in materia di trasporto. In particolare, l’accordo sul clima di Parigi COP 21/23 ha fissato, entro il 2030, una quota del trasporto merci su rotaia che arrivi ad almeno il 30% del totale per spostamenti superiori ai 300 chilometri.
Attualmente la Sicilia trasporta su gomma più del 95% delle sue merci e quindi sarà necessario, per ragioni economiche ed ambientali, visto che il treno è comunque più sostenibile della strada, provvedere all’implementazione del sistema su rotaia da integrare con un’infrastruttura di collegamento con la terraferma.
“Il trasporto su ferro – si legge in un intervento della Rete civica per le Infrastrutture nel Mezzogiorno ospitato sul QdS – conviene rispetto a quello su gomma oltre i 500 km, quindi sul piano del trasporto interno alla regione non c’è molto da aspettarsi”.
 
3. Alta velocità e Ponte: CT-MI in metà tempo
L’impegno per aumentare la quota del trasporto su rotaia, sulla base delle regole comunitarie e delle convenienze economiche delle tratte più lunghe, che si integrano con la necessità di renderlo più sostenibile, si collega anche alle potenzialità inespresse dell’Isola come punto di riferimento per tutte quelle merci in transito da Suez.
Secondo una stima del Quotidiano di Sicilia, la realizzazione di una rete ad alta velocità/capacità e la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina permetterebbero – annullando il tempo impiegato dai treni per traghettare – di abbattere il minutaggio di percorrenza tra Catania e Milano, presi come riferimenti, di circa la metà.
È sufficiente considerare il risparmio dei tempi sullo Stretto e il potenziale utilizzo dell’alta velocità/capacità per il treno merci (180 chilometri orari) rispetto all’attuale assai inferiore (fino a un massimo di 100 chilometri orari) da distribuire sugli oltre 1100 chilometri che separano le due città.
 
4. “L’oro” del canale di Suez: Un miliardo di tonnellate di merci da intercettare
Lo scorso anno il canale di Suez, grazie anche al raddoppio avvenuto nel 2015, ha visto il transito di oltre 900 milioni di tonnellate di merci. Numeri che si associano a quanto riportato nel Quinto Rapporto sull’economia marittima italiana: negli ultimi venti anni il traffico container di passaggio in quell’area è cresciuto del 500%, una grande occasione che la Sicilia fatica a intercettare.
Fino a qualche anno, si legge uno studio della Sipotra, società italiana di politica dei trasporti, “su 100 container che entravano nel Mediterraneo da Suez oltre 70 uscivano da Gibilterra per raggiungere le destinazioni finali europee tramite i porti del mar del Nord”.
Negli ultimi anni la situazione sta cambiando, con gli scali del Sud Med e del Nord Med in ripresa, dal momento che dal 2008 ad oggi il Nord Europa ha perso 6 punti percentuali (quota di mercato attuale 40%) con il Med che ha ne guadagnati 5 (quota di mercato attuale 41%). Nell’Isola crescono anche i traffici dei porti di Catania e Palermo-Termini Imerese che, tra il 2016 e il 2017, hanno visto in tendenza positiva il dato relativo al proprio traffico (la quota di container è arrivata a 659mila tonnellate circa).
 
5. Gli italiani costruiscono ponti… in Danimarca
Lo scorso febbraio l’impresa Itinera del Gruppo Gavio, in alleanza con il gruppo Condotte e con Grandi Lavori Fincosit, ha sottoscritto un contratto da 277 milioni di euro per la progettazione e realizzazione dello Storstrøm Bridge.
L’accordo è stato firmato con la Danish Road Directorate del Ministero dei Trasporti danese per un’infrastruttura stradale e ferroviaria di 6,5 chilometri e larga 24 metri che avrà anche una corsia riservata a pedoni e bici. La fine dei lavori è prevista per il 2022 e l’infrastruttura sostituirà il vecchio ponte del 1939, consentendo un traffico stimato sugli 8 mila veicoli al giorno e il passaggio di treni ad alta velocità per il transito dei passeggeri e delle merci.
Copenaghen, pur non trovandosi sulla terraferma, costituisce un hub infrastrutturale del Nord Europa, con strade, autostrade, reti ferroviarie e ponti che le permettono di essere un punto di riferimento per l’intera Scandinavia.
 
6. Penali e costi di gestione. Il salasso del “non fare”
Il Ponte ci sta già costando. Oltre alle spese propedeutiche già pagate, c’è la società Stretto di Messina, che era stata costituita in funzione della realizzazione del Ponte e poi posta in liquidazione del 2013, con la previsione dell’estinzione della società entro un anno. Annualmente continua a costare, secondo una certificazione della Sezione centrale di controllo sulle gestione delle amministrazioni dello Stato al capitolo “lo stato della liquidazione di Stretto di Messina spa”, circa un milione di euro.
Altri 312 milioni sono stati i costi capitalizzati dalla Società per diverse azioni, mentre l’annullamento del contratto, nel 2012, da parte del governo Monti nei confronti di Eurolink porterebbe a penali pari a circa 700 milioni di euro.
Insomma, denari già spesi, o sulla via della spesa, per un progetto, secondo quanto inserito nella delibera Cipe 136/2012, dal costo complessivo di 8,5 miliardi di euro. Per lo Stato, che non sarebbe costretto a finanziare l’intera cifra, ci sarebbero a disposizione diverse opzioni, come il bot (build operate transfer) che ha visto un investimento complessivo di oltre 3 miliardi di dollari nell’ultimo ponte realizzato sul Bosforo in Turchia.

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