Dissesto idrogeologico, in Sicilia nel mirino 50mila edifici e quasi 700 beni culturali - QdS

Dissesto idrogeologico, in Sicilia nel mirino 50mila edifici e quasi 700 beni culturali

Rosario Battiato

Dissesto idrogeologico, in Sicilia nel mirino 50mila edifici e quasi 700 beni culturali

giovedì 27 Settembre 2018

La mappa Ispra per identificare le aree nazionali più esposte ai rischi di frane e alluvioni. Intanto la Regione ha stanziato 7,6 milioni per i danni delle calamità verificatesi tra 2015 e 2017

PALERMO – I dati, prima o poi, irrompono nella realtà. La mappa nazionale del dissesto idrogeologico dell’Ispra, aggiornata sulla base delle informazioni fornite dalle Autorità di bacino distrettuali, fornisce il quadro di riferimento sulla pericolosità per frane e alluvioni dell’intero territorio nazionale e sugli indicatori di rischio relativi a popolazione, famiglie, edifici, imprese e beni culturali.
 
Lo sanno bene proprio in Sicilia, dove, all’inizio di settembre, una frana ha coinvolto il costone retrostante la spiaggia di Marianello nel comune di Licata, nell’agrigentino, e, la scorsa estate, un’altra frana ha coinvolto lo Zingarello, sempre ad Agrigento. Si tratta appunto di aree individuate dalla mappa nazionale e considerate particolarmente vulnerabili.
 
 
Non sono le sole. L’ultimo rapporto Ispra ha inserito circa 7 milioni di italiani in territori vulnerabili, con oltre 1 milione che vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata (PAI – Piani di Assetto Idrogeologico) e più di 6 in zone a pericolosità idraulica nello scenario medio (ovvero alluvionabili per eventi che si verificano in media ogni 100-200 anni).
 
In Sicilia, stando agli ultimi dati del rapporto redatto dall’Ispra, circa il 90% dei comuni mantiene delle aree a rischio idrogeologico. Andando in dettaglio, si tratta di 360 comuni isolani con aree interessate a pericolosità da frana (elevata o molto elevata) o idraulica (elevata o molto elevata) che coinvolgono direttamente diverse migliaia di persone. In particolare, ce ne sono circa 120 mila nelle aree con pericolosità da frana e 20 mila in quelle a pericolosità idraulica. Gli edifici non sono esenti dal rischio: circa 50 mila nel mirino delle frane, 14 mila del rischio idraulico.
 
Non c’è rispetto nemmeno per l’arte. L’Ispra ha individuato, a livello nazionale, nelle aree franabili circa 38 mila beni e altri 40 mila monumenti a rischio inondazione nello scenario a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi. Nel mirino ci sono anche i tesori di Sicilia: ben 693 beni culturali a rischio nelle aree a pericolosità da frana. Ovviamente anche le attività produttive sono in gabbia: in Sicilia ce ne sono poco meno di 6 mila nelle aree a rischio frana e circa 2 mila in quelle a pericolosità idraulica, strutture in cui lavorano migliaia di persone.
 
La Regione, intanto, prova a correre ai ripari, ma solo in seguito ai danni. A fronte dei ritardi nell’ultimazione delle opere preventive per mitigare il dissesto – soltanto un intervento su due concluso, considerando i 493 interventi finanziati dal 1998 ad oggi nell’Isola – ci saranno a disposizione circa 7,6 milioni di euro per far fronte alle calamità che hanno colpito i comuni isolani nel 2015, 2016 e 2017. Le risorse sono state stanziate dal dipartimento nazionale della Protezione civile e riguardano gli stati d’emergenza, che erano stati richiesti da Palazzo d’Orleans.
In particolare si tratta delle conseguenze seguite alle alluvioni nelle province di Catania, Enna e Messina (verificatesi dall’8 settembre al 3 novembre 2015), Agrigento e Messina (24 e 25 novembre 2016), Ragusa (dal 21 al 23 gennaio 2017). E nei comuni di: Licata (19 novembre 2016) e Marineo (dal 21 al 23 gennaio 2017).
 
Il provvedimento è stato pubblicato sulla Gurs del 13 settembre e quindi possono già essere presentate le domande di risarcimento ai comuni di riferimento che poi dovranno girare le richieste al dipartimento regionale di protezione civile che dovrà poi procedere alla verifica dei danni. Tutto il procedimento dovrà chiudersi entro il 31 dicembre dell’anno in corso.

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