Trasporti in Sicilia: infrastrutture da incubo - QdS

Trasporti in Sicilia: infrastrutture da incubo

Rosario Battiato

Trasporti in Sicilia: infrastrutture da incubo

martedì 30 Ottobre 2018

Rete viaria disastrata e con gravi deficit strutturali. Accessibilità autostradale agli ultimi posti a livello europeo (otto volte inferiore alla Lombardia). Il quarantaquattro per cento di rete ferroviaria non elettrificata. Tempi medi di progettazione: tre anni e tre mesi; crollo degli investimenti del cinquanta per cento in nove anni; 162 incompiute. Le infrastrutture di trasporto dell’Isola faticano a svolgere il loro compito essenziale, cioè collegare

PALERMO – La Sicilia delle infrastrutture di trasporto non si sveglia dall’incubo che la affligge da decenni. Le necessità di un miglioramento del sistema di collegamento si infrangono contro il muro della difficoltà legate ai tempi lunghi delle varie fasi necessarie per la progettazione e l’affidamento dei lavori – complessivamente oltre un anno rispetto al dato nazionale – e non mancano le criticità legate alla riduzione degli investimenti da parte dei comuni siciliani. Un circolo vizioso da cui sarà molto complicato tirarsi fuori, anche perché il rischio incompiuta è sempre dietro l’angolo, con numeri da record per la Sicilia.
 
Le infrastrutture di trasporto dell’Isola faticano a svolgere il loro compito essenziale, cioè collegare. E non solo per la qualità della rete viaria complessiva, che resta comunque incompleta e con gravi criticità in termini di manutenzione, ma anche per quello che la Commissione europea definisce il livello di accessibilità autostradale, ovvero il tempo impiegato dalla popolazione presente nelle zone circostanti per accedere a tale infrastruttura.
 
La Sicilia, secondo dati riportati dall’Ance, si trova al penultimo posto nazionale, solo la Sardegna fa peggio, e tra gli ultimi posti a livello europeo, confezionando un risultato che è pari a 18,4, cioè circa 80 punti in meno della media comunitaria (100) e otto volte in meno della Lombardia (138,5).
 
Non va meglio nemmeno con le ferrovie, con un indice di accessibilità ferroviaria pari a 33,4, anche in questo caso penultimo d’Italia, e con una dotazione di 1.379 chilometri (soltanto il 56% elettrificato), che non è la più diffusa d’Italia, nonostante si tratti della regione più estesa.
 
Infrastrutture che sembrano destinate a restare da incubo, perché nemmeno l’eventuale presenza dei fondi sembra garantire la buona riuscita dell’avvio dei cantieri. Lo dicono i dati relativi alla realizzazione delle opere pubbliche, mappati nell’ultimo rapporto dedicato dal NUVEC, il nucleo di verifica e controllo dell’Agenzia per la Coesione Territoriale. L’ultimo rapporto, rilasciato la scorsa estate, a quatto anni di distanza dall’ultima rilevazione, ha evidenziato che nel complesso “Liguria, Molise, Basilicata, e Sicilia sono le regioni che manifestano le maggiori criticità con riferimento ai tempi di attuazione degli interventi, sebbene Molise e Basilicata con tempi decisamente più elevati rispetto alla media (+28 per cento contro +19 e +17 per cento di Sicilia e Liguria)”.
 
La performance della Sicilia resta comunque tra le ultime d’Italia – la quartultima per l’esattezza – nonostante il miglioramento dei tempi medi di realizzazione, passati da 6,9 anni a 5,3, comunque ancora discretamente alti a fronte di una media nazionale di 4,4 anni. A pesare maggiormente ci sono i tempi di progettazione (3,3 anni), seguiti dai tempi di affidamento (0,8), peggior dato del meridione dopo la Campania, e dei lavori (1,1).
 
Ritardi, anche in fase di progettazione, che di fatto pongono l’accento sulla difficoltà a trasformare i i fondi in cantieri veri e propri. Lo conferma l’Ance nazionale – all’interno del Rapporto “Le infrastrutture per la competitività del Mezzogiorno”, diffuso alla fine di settembre – che ha messo in evidenza come le “difficoltà a trasformare le risorse in cantieri emergono chiaramente dall’andamento della spesa per investimenti degli enti locali del Mezzogiorno che, analogamente al resto d’Italia, non riescono ad interrompere il trend in atto a partire dal 2008”.
 
Un fenomeno che resta ben evidente anche in Sicilia: tra il 2008 e il 2017, la spesa in conto capitale, cioè quelle destinate agli investimenti, hanno avuto un crollo del 50%, secondo peggior dato del mezzogiorno, soltanto la Sardegna è riuscita a fare peggio (-63,6%). E non sono convincenti nemmeno le ultime tendenze, dal momento che la variazione tra il primo semestre del 2018 e del 2017 ha visto una contrazione del 7%, comunque in linea con quanto registrato in Italia (-8%).
 

 
Ance Sicilia: In leggera ripresa il mercato delle opere pubbliche nel 2018
 
PALERMO – Arrivano buone notizie per l’edilizia isolana. Lo ha evidenziato l’Ance Sicilia in un comunicato della scorsa settimana, nel quale si mette in evidenza che “nei primi otto mesi dell’anno si è registrata una ripresa del mercato delle opere pubbliche rispetto allo stesso periodo del 2017”.
 
Una tendenza complessivamente rassicurante che si manifesta, si legge nella nota dei costruttori isolani, “nonostante le perduranti complicazioni e il sistema di aggiudicazione al massimo ribasso introdotti dal Codice nazionale degli appalti”.
 
I numeri dell’Osservatorio di Ance Sicilia dicono che l’insieme dei bandi pubblicati da tutte le stazioni appaltanti, nazionali e regionali, ha prodotto 865 gare contro 845 (in lieve ripresa con 20 incanti in più, pari al +2,37%) per un importo complessivo di 860 milioni di euro (erano stati 854 da gennaio ad agosto dell’anno scorso, +0,62%).
 
In questo quadro, si evidenzia che a livello di Regione e di enti locali le “stazioni appaltanti hanno compiuto quasi un raddoppio e sono riuscite a recuperare il drammatico crollo del 2016 e del 2017, riportandosi ai livelli del 2015: 137 gare (+82,67%) per 194 milioni di euro (+73,13%) sempre rispetto alle stesso periodo del 2017”.
 
Numeri che vanno sempre confrontati con quanto registrato nel 2007, considerato come anno di inizio della crisi, quando le stazioni appaltanti regionali avevano bandito 818 gare per 890 milioni.
 
 

 
Il rischio di ogni cantiere è che diventi un’incompiuta
 
PALERMO – Non bastano i rischi legati ai fondi e all’avvio dei cantieri, perché spesso il vero pericolo, almeno in Sicilia, si nasconde nell’effettiva chiusura dei lavori e nella fruibilità dell’opera.
 
Lo rivelano i dati delle cosiddette incompiute siciliane che, con dati aggiornati al 2017, sono state 162, un quarto del totale nazionale. Opere che valgono complessivamente circa mezzo miliardo di euro spesi e inutilizzati. I dati arrivano dall’anagrafe delle opere incompiute in seguito all’inserimento da parte delle amministrazioni titolari dei procedimenti sull’apposito sito tramite il Simoi (Sistema informatico di monitoraggio delle opere incompiute).
 
L’elenco siciliano è stato redatto dagli uffici dell’assessorato regionale delle Infrastrutture. Andando in dettaglio, le incompiute isolane valgono il 25% del totale nazionale e sono cresciute rispetto all’anno precedente (+1,9%) mentre a livello nazionale si è registrata una decisa contrazione (da 752 a 647, -14%).
 
La spesa “congelata” vale 488 milioni di euro – in calo rispetto al 2016 quando era stata di 501 milioni di euro – e si distribuisce su diverse tipologie di opere, tra queste ce ne sono addirittura ben cinque che hanno lavori eseguiti al 100%, ma che non sono ancora fruibili.
 
Sono tre le ragioni che motivano il blocco delle opere: interruzione dei lavori oltre il termine contrattualmente previsto per l’ultimazione; interruzione entro il termine contrattualmente previsto per l’ultimazione e non presenza delle condizioni di “riavvio degli stessi”; lavori di realizzazione “ultimati” e non “collaudati nel termine previsto in quanto l’opera non risulta rispondente a tutti i requisiti previsti dal capitolato e dal relativo progetto esecutivo, come accertato nel corso delle operazioni di collaudo”.

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