Reddito di cittadinanza anche alle prostitute - QdS

Reddito di cittadinanza anche alle prostitute

Carlo Alberto Tregua

Reddito di cittadinanza anche alle prostitute

giovedì 01 Novembre 2018

Abrogare la legge Merlin

Il 20 settembre 1958 entrò in vigore la legge Merlin, con la conseguenza che le case chiuse furono chiuse. A distanza di sessant’anni, il fenomeno della prostituzione è dilagato, con riflessi deleteri anche per il suo sfruttamento.
Non si capisce perché nel nostro Paese tutta la materia non debba essere regolata da una legge conforme a quelle esistenti in Svizzera, Germania, Francia, Austria, Olanda e altre nazioni avanzate.
Secondo statistiche non ufficiali, in Italia vi sono circa 70 mila prostitute che soddisfano 9 milioni di clienti. Il giro d’affari stimato è di 25 miliardi, con una conseguente evasione fiscale fra i 5 e i 7 miliardi. Cifre non da poco.
Inoltre, vi è il grave problema che la prostituzione non legalizzata alimenta il malaffare e la criminalità, costringe molte donne e anche uomini a un’attività fatta contro la loro volontà e crea un problema di ordine sanitario perché comunque prostituti e prostitute, in quanto iscritti alle Anagrafi, hanno diritto all’assistenza del Ssn.
 
Anche se volessero, prostituti e prostitute non potrebbero pagare le imposte, perché nel modello 730 manca il codice della relativa attività, quindi è impossibile anche una sorta di autodenuncia. Vero è che l’Agenzia delle Entrate di Rimini ha recentemente effettuato un accertamento fiscale nei confronti di una prostituta, ma non ci sembra che esso abbia fondamento legale. Infatti, se l’attività è inesistente non può essere tassata.
Una delle contraddizioni del nostro Paese – in cui le leggi ci sono per essere violate e materie non regolate attendono ancora di essere regolate – riguarda l’incapacità delle istituzioni.
Insomma, il disordine è imperante, l’ordinaria amministrazione è inesistente, ognuno fa quello che gli pare, salvo poi incappare in qualche violazione di ordine formale e quindi in processi interminabili dai quali magari si esce per prescrizione dei reati o per assoluzione.
Assistere a questo degrado istituzionale è veramente penoso, anche perché frutto di un’enormità di leggi, decreti e simili spesso contraddittori, e di una Pubblica amministrazione che approfittando del caos legislativo ci mette del suo per ingarbugliare le questioni a proprio vantaggio, anche corruttivo.
 
Con l’introduzione del Reddito di cittadinanza, di cui ancora non siamo riusciti a leggere il testo definitivo, perché non è uscito dalle Camere, anche le prostitute, in quanto tecnicamente povere, ne hanno diritto. Basta che esse siano iscritte nell’elenco delle disoccupate ed ecco che i Centri per l’impiego dovrebbero inserirle nella titolarità di chi ha diritto all’assegno minimo di 780 euro mensili.
Cosicché, anche le prostitute rientrerebbero fra i beneficiari di questa lodevole iniziativa del Movimento 5 stelle.
Non dobbiamo dimenticare che Gentiloni aveva già introdotto un meccanismo analogo, chiamato però Reddito di inclusione, che ha già erogato 305 euro mensili a circa un milione di poveri, con un costo stimato fra 1 e 2 miliardi l’anno.
Il Reddito di cittadinanza intende inglobare il Reddito di inclusione, con ciò risparmiando la cifra del secondo, ma elevando il totale corrisposto a 780 euro mensili per una sola persona che aumenteranno in proporzione al numero dei componenti della famiglia.
 
La Campania e la Sicilia sono le due regioni ove vi è il maggior numero di assegni per Reddito di inclusione. Verosimilmente, resteranno nel Guinnes dei primati dei poveri anche con l’introduzione del Reddito di cittadinanza.
Questo spiega l’alto consenso elettorale che ha avuto l’M5s nelle due regioni, che ha sfiorato il 50%.
È chiaro che quando ai cittadini, poveri o finti poveri che fanno magari un lavoro in nero, viene promesso un assegno a babbo morto, il consenso alle urne è assicurato.
Ciò non significa che questo meccanismo avvantaggi nel suo complesso i cittadini italiani. anzi il contrario, perché alimenta una mentalità distorta secondo cui anche il nullafacente ha diritto a un assegno pubblico anziché cercarsi un lavoro o inventarselo.
Una pensionata che aveva versato 37 anni di contributi ha dichiarato di percepire una pensione di 600 euro. Ha gridato: “Non ci sto”! Neanche noi!

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