Carlo Verna: "Usare il Testo unico dei Doveri come il breviario della Chiesa" - QdS

Carlo Verna: “Usare il Testo unico dei Doveri come il breviario della Chiesa”

Valerio Barghini

Carlo Verna: “Usare il Testo unico dei Doveri come il breviario della Chiesa”

sabato 17 Novembre 2018

Forum con Carlo Verna, presidente nazionale Ordine dei giornalisti

Presidente, da direttore del Quotidiano di Sicilia, con la redazione insisto sempre su un punto: il Testo unico dei Doveri del 2016. Per un giornalista deve essere un po’ come la Bibbia, da tenere sempre sulla scrivania…
“Si tratta di un tema che anche a me sta molto a cuore e la cui importanza è stata sottolineata di recente. Proprio durante l’ultimo esecutivo ho ribadito che è necessario far stampare numerose copie del Testo unico, da consegnare a ogni iscritto tutte le volte che c’è un corso che preveda crediti formativi riconosciuti anche a fini deontologici. Non è sufficiente che ogni Ordine regionale lo inserisca sul proprio sito. Ti iscrivi al corso? All’ingresso, quando ti presenti, io ti consegno anche il Testo unico stampato. Penso a qualcosa di sintetico, tra le quattro e le otto pagine al massimo, che paragono un po’ al breviario della messa in chiesa”.
 
 
In effetti, non sempre il lavoro di giornalista viene svolto in maniera deontologicamente corretta…
“Per questo tra gli obiettivi che mi sono posto c’è quello di rinforzare i Consigli di Disciplina. Nel prossimo bilancio inseriremo 50 mila euro per la formazione dei consiglieri. Tuttavia, questo è un rimedio, diciamo così, de iure conditio, che a me non piace molto. La legge del 2012 di riforma degli Ordini professionali ha stabilito che i Consigli di Disciplina fossero separati da quelli amministrativi. Così, quando c’è una questione disciplinare, il presidente regionale o nazionale non hanno poteri di intervento. Ora, a mio parere, occorre fare dei distinguo tra noi e gli altri Ordini professionali: se un avvocato ha un problema, la lite è tra lui e un cliente. Il giornalista, invece, è posto sistematicamente sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica. È necessario, a mio avviso, la creazione di un meccanismo più simile a quello del Consiglio superiore della magistratura, dove il mio omologo, il vice presidente e non il presidente, ruolo ricoperto dal Capo dello Stato, che evidentemente non si occupa di affari correnti, è anche il responsabile della Sezione disciplinare. Ciò anche a garanzia dell’articolo 21 della Costituzione nel suo risvolto passivo: il diritto che hanno i cittadini a essere correttamente informati”.
 
Quindi secondo lei deve passare il messaggio che l’Ordine dei giornalisti si occupa di una materia più delicata rispetto agli altri Ordini professionali?
“È esattamente il concetto su cui si basano le Linee guida per la Riforma dell’Ordine dei giornalisti, approvate dal Consiglio nazionale il 16 ottobre scorso. Un documento condiviso con tutti i presidenti degli Ordini regionali e che ora bisogna diffondere e far tramutare in legge, tanto che abbiamo già provveduto a inviarlo al Governo. Come diceva il Poeta, ‘Le leggi ci son, ma chi pon mano ad esse?’. Un documento che mette in luce cambiamenti a cui dobbiamo abituarci a partire dalla nomenclatura, che deve passare da Ordine dei giornalisti a Ordine del giornalismo”.
 
 
Perché Ordine del giornalismo?
“Molti potrebbero obiettare che, a questo punto, dovremmo parlare di Ordine della biologia o Ordine dell’ingegneria. No, in questo momento il nostro ruolo è diverso e lo ha scritto bene il collega Ruben Razzante. La questione è: fa informazione solo chi è professionalmente preparato o possono farla tutti? Io sono del parere che tutti possono dichiarare di voler fare informazione, però che siano autorizzati a farla soggetti preparati, anche grammaticalmente e che si identifichino in un quadro di regole raccolte nel Testo unico, ma non solo. Sono necessari anche rispetto della Legge, della dignità della persona, della verità, della Legge ordinistica, della Costituzione, delle Carte deontologiche. Insomma, un quadro normativo complessivo che ci porta a dire: ‘Noi siamo quelli delle regole’. Ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale: lo scenario non è più quello del 1963 e io fin da subito ho sostenuto la necessità di una modifica sia di accesso al mestiere che della formazione, che deve diventare un misto tra Università ed esperienza di chi è già professionista”.
 
A proposito di scarso rispetto delle regole, soprattutto nel mondo del web ha preso piede la moda del copia e incolla…
“Anche questa è una tematica cui sono molto sensibile ed è legata a quella del copyright, in difesa del quale sarò a Bruxelles il 27 novembre prossimo. Se io sono un editore, è evidente che non spenderò mai quattrini per mandare un giornalista a realizzare uno scoop dall’altra parte del mondo se poi, quando torna, trova un collega di un sito qualsiasi che, senza muoversi dalla propria scrivania, prende il servizio, lo copia e lo diffonde in rete gratis. Vi è poi il tema dell’importanza della verifica. Il web ha portato con sé il voler diffondere a tutti i costi una determinata notizia, una corsa frenetica a chi pubblica per primo e il più velocemente possibile una news che, però, non può e non deve assolutamente andare a discapito della verifica della sua veridicità. C’è un aspetto che chi fa formazione deve tenere ben presente: se noi riusciamo a recapitare quel prezioso pacco postale che si chiama conoscenza, mettendo rigore nell’applicazione e nel rispetto delle regole, e quindi a concretizzare il diritto di cui all’articolo 21 della Costituzione, che trova poi rispondenza nell’articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, allora questa professione vivrà e assolverà pienamente al suo compito. Viceversa, sarà automaticamente dequalificata”.
 
 
Poco fa diceva che immagina un Ordine in cui i giornalisti gridino a gran voce: “Noi siamo quelli delle regole”. Come si fa a far recepire questo messaggio al lettore, il fruitore della notizia?
“Questa è un’altra tematica che ci siamo posti. In un’epoca in cui il web spadroneggia, individuare chi fa realmente informazione diventa complicato. Come distinguere, in rete, una notizia divulgata da un giornalista da quella convogliata da un cittadino comune che ritiene di dover dire qualcosa? Prendiamo, a titolo esemplificativo, le immagini del maltempo di questi giorni, molte delle quali provenienti da non giornalisti. Io mi chiedo se, rispetto alle famose cinque W, il giornalista abbia fatto una necessaria opera di contestualizzazione. Discorso che si ricollega a quello su regole che, a loro volta, vanno adattate a uno scenario che è cambiato. C’è un principio che non bisogna dimenticare: nessuno può arrivare prima in un posto dove è avvenuto un determinato fatto se non chi già si trova in loco. Quest’ultimo, però, può anche non essere un giornalista. Quindi, in prima battuta, necessariamente, di fronte a una notizia ci si può trovare nella situazione di dover utilizzare qualcosa di fiduciario. Tuttavia compito del giornalista, ‘l’uomo delle regole’, la cui missione resta comunque quella di prendere, partire, scarpinare e raccontare la notizia, è procedere a una validazione del materiale che riceve. Apporre, insomma, una sorta di ‘sigillo virtuale’. Per poter fare ciò, però, occorre che il professionista sia preparato. Ed è con questa finalità che abbiamo creato un gruppo di lavoro, colleghi esperti del settore, che aiutino ad arrivare alla conoscibilità dell’algoritmo. Con l’obiettivo finale di creare una scuola di alta formazione dei nuovi sistemi editoriali”.
 
Crollano le vendite cartacee di quotidiani e periodici, ma non c’è un corrispondente aumento di copie digitali. Che succede?
“Il principio è meramente economico: il bisogno marginale diminuisce laddove viene in parte soddisfatto. Se io attraverso il web apprendo un determinato fatto di cronaca, oltretutto in modo gratuito, perché ancora nessun editore è riuscito a far sì che le notizie in rete possano essere effettivamente pagate e creare così un sistema che metta a reddito l’informazione che circola in maniera digitale, è evidente che il giorno dopo non vado in edicola ad acquistare il quotidiano che riproduce, magari senza fare ulteriori analisi o approfondimenti, quella notizia. Se a ciò sommiamo il calo drastico degli edicolanti (diminuiti nel giro di tre lustri 2001-2016 di 13 mila unità, tanto che oggi si contano poco più di 22 mila edicole su tutto il territorio nazionale, ndr) e all’equazione si aggiungono coloro che facevano i turni nei giorni festivi e per i quali ora la domenica è diventato un giorno sabbatico, il quadro diventa desolante oltre che allarmante. Sul fronte del cartaceo, insomma, si è creato un circolo vizioso che si autoalimenta: diminuiscono le copie, si contrae il numero dei redattori che fanno ‘cucina’, si pubblicano pochi approfondimenti e analisi, si impoverisce il ruolo di una notizia, merce peraltro già deprezzata di suo perché letta su computer, tablet e telefonini senza pagare neanche un centesimo. A questo punto, che motivo ho di comprare un determinato giornale, che riporta una notizia che è diventata vecchia, che magari in redazione tiene un numero minimo di giornalisti che non sono in condizione di fare approfondimenti e che, oltretutto, proprio a causa della riduzione drastica dei punti vendita, faccio fatica a trovare?”.

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