I nuovi zombie incollati allo smartphone - QdS

I nuovi zombie incollati allo smartphone

Carlo Alberto Tregua

I nuovi zombie incollati allo smartphone

martedì 20 Novembre 2018

Il feticcio che distrugge la mente

Lo smartphone è ormai comunemente denominato feticcio (termine che i primi viaggiatori portoghesi in Africa occidentale applicavano a idoli e amuleti cui dedicavano venerazione religiosa). Infatti, per le strade, dentro le auto, nei locali pubblici e persino nei cinema, la maggior parte delle persone tiene in mano tale oggetto, da cui non si può più distaccare, essendone quasi dipendente.
Da un punto di vista immateriale, lo smartphone è come la droga: non solo non se ne può fare a meno, ma se ne ha sempre più bisogno. Quando esso non è acceso, il suo portatore si sente perduto, perché non ha più punti di riferimento.
Lo smartphone, ovviamente usato indebitamente, svuota il cervello perché ne impedisce le funzioni elaborative e invece fa subire a chi lo utilizza tutte le sue indicazioni grezze.
Nell’immenso serbatoio di informazioni, sono in pochi quelli che riescono a raccapezzarsi, e precisamente i professionisti o coloro che sono abituati per il loro mestiere a utilizzarlo. Ma non è a costoro cui ci riferiamo, bensì alla gran massa di persone che usa lo smartphone a sproposito, continuamente, senza soste, quasi che senza di esso le funzioni vitali e cerebrali non potessero essere azionate.
 
È stato un bene l’accesso alle informazioni dello scibile umano attraverso varie piattaforme digitali. Chiunque, dotato del feticcio, può assumere informazioni di qualunque genere e tipo. Fino a quando si tratta di soddisfare una curiosità o di appurare il significato di una parola va tutto bene. Il dramma, però, comincia quando chi cerca e trova ritiene di essere diventato sapiente. Non è la singola informazione che fornisce il sapere, ma l’insieme delle stesse, coordinato, che assume un significato vasto, capace di collegarsi con le precedenti e le successive conoscenze.
Paradossalmente, l’accesso all’immane serbatoio delle informazioni sta sviluppando un’ignoranza di ritorno che si diffonde sempre più.
La gente non vuol sentire parlare di leggere testi che abbiano un significato (digitali o di carta, non importa). Soltanto leggendo qualche centinaio di pagine su un argomento si può accendere, nel cervello di chi legge, una tenue luce.
 
Noi siamo formati dallo spirito (energia), dalla mente (l’insieme di sensazioni), dal cervello (neuroni che elaborano e memorizzano) e dal corpo (che funziona in base a dodici sistemi). Siamo una macchina complessa, peraltro in parte sconosciuta, ma capace di fare cose prodigiose se in grado di coordinare le nostre facoltà, addestrarle in modo da essere finalizzate a obiettivi.
Pensare è una delle facoltà più belle di ogni persona. Ricordate René Descartes (1596-1650), Je pense donc je suis? Sono nella misura in cui penso.
Non è soltanto un concetto fisolofico, ma una realtà di cui tutti dovremmo prendere atto. Invece essa viene ignorata, anzi molti confondono il senso del verbo pensare con quello del verbo supporre. Significati completamente diversi.
Proprio quando qualcuno si accosta allo smartphone dovrebbe pensare che l’assunzione della singola informazione non è che l’inizio di una catena formata da tanti anelli: una successiva informazione, una terza, una quarta e così via. Mettendole tutte insieme si cerca di capire il significato complessivo di una conoscenza.
 
L’incapacità dell’elaborazione diminuisce il valore della persona, la quale si attesta su cose che sa e spesso non ha la voglia e la curiosità di cercare quello che non sa. Certo, vivere per la conoscenza è faticoso, ma è anche molto bello, perché tiene la mente in continua elaborazione, il che fa funzionare il cervello più velocemente e acquisire salute al corpo.
Noi abbiamo un motore dentro. Più lo facciamo girare e meglio funziona, avendo l’accortezza di curarlo con uno stile di vita che lo aiuti piuttosto che danneggiarlo, come fanno tutti coloro che amano gli stravizi e gli eccessi.
L’equilibrio è il miglior modo per vivere: non tutti lo raggiungono perché non vogliono o non sanno farlo.
Nonostante quanto precede, lo smartphone è uno strumento prezioso, che va adoperato con intelligenza, buonsenso e soprattutto va finalizzato ad accrescere le proprie capacità di comprensione di tutti quei fenomeni che incontriamo giorno dopo giorno e di cui non ci sappiamo spiegare causa ed effetti. Benedetta ignoranza!

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