Borsellino: la stessa mano, non mafiosa, nella strage e nel depistaggio - QdS

Borsellino: la stessa mano, non mafiosa, nella strage e nel depistaggio

Bartolo Catania

Borsellino: la stessa mano, non mafiosa, nella strage e nel depistaggio

mercoledì 19 Dicembre 2018

L'ha detto il presidente della Commissione antimafia Fava al termine del lavoro di indagine sui fatti. Anomalie nell'inchiesta a partire dalla collaborazione Procura-Sisde. La figlia Fiammetta, "Mio padre lasciato solo da vivo e da morto"

"La stessa mano, non mafiosa, che accompagnò Cosa nostra nell’organizzazione della strage di via D’Amelio potrebbe essersi mossa, subito dopo, per determinare il depistaggio e allontanare le indagini dall’accertamento della verità".
 
L’ha detto Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia, nella conferenza stampa seguita al termine del lavoro di indagine sui depistaggi di via d’Amelio.
 
Oltre a Borsellino, il 19 luglio del 1992 persero la vita gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Limuli, Claudio Traina, Emanula Loi ed Eddie Walter Cusina.
 
Fava ha presentato la relazione della commissione, 80 pagine, sul depistaggio di via D’Amelio, in cui si legge che c’è stata "un’anomala, significativa e determinante (negli esiti) collaborazione tra la procura di Caltanissetta e i vertici dell’allora Sisde".
 
Un intero capitolo della relazione della commissione è dedicato al ruolo di Arnaldo La Barbera, allora capo della squadra mobile di Palermo al quale vennero affidate le indagini su via D’Amelio, così come era accaduto in occasione della strage di Capaci.
"Nell’indagine sulla strage di via D’Amelio – si legge nella relazione – ci fu un uso spesso disinvolto e non limpido dello strumento dei colloqui investigativi da parte di La Barbera e degli uomini del gruppo ‘Falcone-Borsellino’. Un uso destinato – come è stato detto in Commissione con metafora efficace – a ‘vestire il pupo’".
 
"Mai – si legge nelle conclusioni della relazione – una sola investigazione giudiziaria e processuale ha raccolto tante anomalie, irritualità e forzature, sul piano procedurale e sostanziale, come l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta. Mai alla realizzazione di un depistaggio concorsero tante volontà, tante azioni, tante omissioni come in questo caso. Mai gli indizi seminati, in corso di depistaggio, furono così numerosi e così ignorati al tempo stesso come nell’indagine su via D’Amelio".
 
"Il ruolo dei servizi segreti – ha spiegato Fava – è stato pervasivo: la mano che sottrasse l’agenda rossa di Borsellino non è una mano mafiosa. Il primo atto della procura di Caltanissetta, un atto contro la legge, è la richiesta al Sisde di dirigere nella fase iniziale le indagini su via D’Amelio. La procura di Caltanissetta all’indomani della strage di Capaci aveva scelto, per 57 giorni, di non ascoltare Paolo Borsellino e poi, due ore dopo la strage di via D’Amelio, ha scelto di affidarsi al Sisde. L’impulso è partito dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta, ma si suppone che gli altri magistrati ne fossero a conoscenza".
 
Il secondo aspetto sul quale si è concentrato il lavoro della commissione Antimafia riguarda la gestione della collaborazione di Vincenzo Scarantino e degli altri "sedicenti collaboratori di giustizia".
 
"Certa – è scritto nella relazione – è anche l’irritualità dei modi (‘predatori’, ci ha detto efficacemente un pm audito in Commissione) attraverso cui il cosiddetto gruppo ‘Falcone-Borsellino’ condizionò le indagini, omise atti e informazioni, fabbricò e gestì la presunta collaborazione di Vincenzo Scarantino e degli altri cosiddetti pentiti".
 
"L’indagine sul depistaggio di via D’Amelio – ha detto Fava – è iniziata con Fiammetta Borsellino. Portarla avanti è stato il modo migliore per rendere omaggio alla memoria del magistrato ucciso. Per troppo tempo, troppe domande sono rimaste senza destinatari: in alcuni casi abbiamo avuto risposte, in altri casi c’è stata poca memoria".
 
"Mio padre è stato lasciato solo da vivo e da morto" ha detto Fiammetta Borsellino.
 
"Nel depistaggio – ha aggiunto – c’è stata una responsabilità collettiva dei magistrati che hanno avuto comportamenti ‘contra legem’ e che ad oggi non sono stati mai perseguiti né sul piano disciplinare né su quello giudiziario. C’è chi ha lavorato nel periodo del depistaggio e dimostrato di non aver capito nulla di mio padre".
 
Fava ha ricordato che la Commissione non ha indagato sulle responsabilità penali: "Non è nostro compito – ha detto – abbiamo ritenuto di dovere indagare sulle responsabilità politiche e istituzionali che possono avere, a tutti i livelli, ‘protetto’ questo depistaggio".
 

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