Ars, quei vitalizi così duri a morire - QdS

Ars, quei vitalizi così duri a morire

Carlo Alberto Tregua

Ars, quei vitalizi così duri a morire

sabato 09 Marzo 2019

Norme capestro nella L. 145/2018

La saggia decisione del governo Musumeci di non impugnare l’articolo 1, commi 965, 966 e 967 della Legge di Bilancio 2019, n. 145/2018, smaschera definitivamente i privilegi che l’Assemblea regionale siciliana continua a tutelare, infischiandosene della povertà dilagante e della grave situazione di disagio in cui versa la gran parte dei siciliani.
Nelle ovattate mura del prezioso Palazzo dei Normanni, giustamente in continua manutenzione, restano estranee le grida di dolore che da ogni parte della Sicilia arrivano a Palermo.
Cosa dicono i succitati commi? Il 965 recita: “Le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano (…) entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge (…) provvedono a rideterminare (…) la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di Presidente della Regione, di consigliere regionale o di assessore regionale. Qualora gli enti di cui al primo periodo non vi provvedano entro i termini previsti, a essi non è erogata una quota pari al venti percento dei trasferimenti erariali…”.
 
I successivi commi 966 e 967 stabiliscono le modalità di attuazione del comma appena descritto. A questo punto, la mancata impugnazione, come prima abbiamo scritto, e l’imperativo di attuazione, obbligano il Presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Micciché a porre agli appositi organi una delibera che proceda al taglio dei vitalizi.
Il taglio dei vitalizi è di 18 milioni di euro, cifra superiore a quella occorrente per l’appannaggio dei deputati, che è di 15 milioni.
La spesa corrente, di 172.296.668, 83 euro, seppur ridotta della cifra indicata, grazie al taglio dei vitalizi, sarebbe comunque superiore due volte e mezzo quella del Consiglio regionale della Lombardia che si attesa a 82.208.226 euro.
Attenzione, qui non discutiamo di tutte le spese di manuntenzione e ristrutturazione della sede storica del Parlamento siciliano, che ammontano a circa trenta milioni di euro, qui è in discussione lo spreco di risorse dei siciliani per un’Assemblea che ha le stesse funzioni di quelle di altre Regioni.
 
Le funzioni dell’Ars, come quelle del Consiglio della Lombardia, sono sostanzialmente due: legislativa e ispettiva. La prima, ovviamente, è quella di approvare leggi, la seconda riguarda il controllo dell’attività di governo.
Il gruppo M5s un giorno si è svegliato e ha denunciato all’opinione pubblica nazionale, con sei anni di ritardo, che l’Ars costa più della Casa Bianca, qualcosa come mille euro al minuto. Ha scoperto l’acqua calda. Queste anomalie vengono da noi portate ai lettori da un quarto di secolo, anche se l’invito a rientrare nella normalità delle spese è rimasto fino ad ora inascoltato.
I privilegi sono duri a morire, perché l’egoismo è più forte dell’altruismo. Stona, poi, la vigenza della legge 44/65 che equipara l’Ars al Senato, caso unico in Italia. Attendiamo smentita.
In questo senso, nota ancor più stonata è il contratto di lavoro interno per cui dai dirigenti fino all’ultimo degli uscieri (pardon, assistenti parlamentari), stipendi, premi indennità e prebende sono fuori da ogni logica e da ogni equità sociale.
 
La questione dell’Ars che abbiamo posto, non è la sola anomalia che stride nel sistema politico siciliano. Resta ancor più negativa la quantità abnorme di dipendenti e dirigenti della Regione: secondo la Corte dei conti al 31 dicembre 2018 erano 14.297. e stride ancor più che il contratto di lavoro firmato da sindacati e Aran (che rappresenta il datore di lavoro Regione), abbia compensi mediamente più alti di quelli corrispondenti a dirigenti e dipendenti delle altre Regioni.
Diventa più stridente la situazione socio-economica in buone o ottime condizioni della città di Palermo, in cui si vive con una preponderanza di stipendi pubblici, rispetto a quella delle altre otto province siciliane.
Rimane stridente la situazione del pubblico impiego regionale con quella dei dipedenti comunali e, soprattutto, con quella del settore privato. Finché rimangono in vita questi privilegi, la Sicilia non potrà che arretrare perché i benestanti lo diventano ancora di più e i poveri diventano ancora più poveri.
Una situazione irrimediabile? Sì, se l’opinione pubblica non si sveglierà.

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