Petrolio: a noi i danni, a loro i soldi - QdS

Petrolio: a noi i danni, a loro i soldi

Rosario Battiato

Petrolio: a noi i danni, a loro i soldi

venerdì 21 Maggio 2010

Energia. L’enorme disequilibrio dello sfruttamento
Lo studio. In 27 anni, nel Mediterraneo sono stati registrati 376 incidenti con petrolio e 94 con sostanze nocive. In mare sversate ben 440.556 tonnellate tossiche.
La Sicilia. La nostra Isola è al centro delle rotte delle petroliere, anche per la presenza di pozzi e raffinerie. Augusta è il secondo porto petroliero nazionale dopo Trieste, terzo in Europa dopo Marsiglia.

PALERMO – Mare, terraferma, petrolio, gas, trivelle e inquinamento. Un gioco da milioni di euro che permette alle compagnie petrolifere di penetrare in Sicilia, frustrando le necessarie norme ambientali: sversamenti in mare di petrolio e altre sostanze tossiche, petroliere, incidenti nei pressi delle coste, scavi per compiere le ricerche di preziosi giacimenti nel ricco Canale di Sicilia. In questo quadro di conquista rientra anche il tassello del porto di Augusta – secondo italiano del Mediterraneo per trasporto di petrolio – che dovrebbe fungere da attracco per le navi dirette verso l’ancora in bilico rigassificatore di Priolo-Melilli. All’Isola resta qualche manciata di spiccioli in royalties, anche se dall’Ars promettono cambiamenti a breve.
 
Non è solo una questione di trivelle, ma la Sicilia, nel mosaico del petrolio del Mediterraneo, assume un ruolo strategico. Dai suoi porti passano petroliere, nel Canale di Sicilia si continuano ad effettuare scavi sottoforma di permessi di ricerca in previsione di future trivellazioni, e intanto ovunque si pompa gas sia a mare che sulla terraferma. L’insieme di queste attività produce effetti perversi per l’economia e l’ambiente siciliano – royalties per la Regione tra le più misere d’Italia – mentre ingrassa i bilanci delle varie compagnie petrolifere a partire dall’Erg per passare dalla Shell e dall’Eni. E, come se non bastasse, dal porto di Augusta, il secondo del Mediterraneo per il passaggio di petroliere, vorrebbero anche l’attracco per le navi del contestatissimo rigassificatore di Melilli-Priolo. Un puzzle finanziario, economico e ambientale che muove i suoi pezzi dalle sedi extrasiciliane delle compagnie petrolifere, passando per Palazzo d’Orleans sino ad arrivare alle sentenze della Corte Costituzionale.
Purtroppo non c’è solo la Lousiana, dove un disastro imprevedibile, eppure sempre possibile nei luoghi di transito dell’oro nero, ha giustamente attirato le attenzioni di tutto il globo. Esiste infatti uno stillicidio più lento, ma non per questo meno pericoloso, che coinvolge da decenni il nostro Mediterraneo, casa forzata dello sversamento in mare degli idrocarburi come conseguenza del traffico marittimo. Il Mare nostrum assorbe qualcosa come 500 mila tonnellate di greggio per le croniche carenze di controllo delle navi che movimentano di media 370 milioni di tonnellate di greggio dal Maghreb verso l’Italia, la Francia e l’Europa in generale.
Nelle rotte commerciali petrolifere la Sicilia ha un ruolo di primo piano. Parliamo dello Stretto di Messina e del Canale di Sicilia, ma anche del porto Augusta, come i punti caldi di questo intenso passaggio: ogni anno in media 60 incidenti, 15 dei quali riguardano navi che provocano sversamenti a mare di petrolio e sostanze chimiche. Augusta – 25 milioni tonnellate di petrolio importate all’anno, 10 milioni in meno dei dati 2003 – può vantare il secondo posto nazionale come porto petrolifero sul Mediterraneo e il terzo internazionale, battuto solo da Trieste (36.000.000 tonnellate) e da Marsiglia (65.000.000 tonnellate). Inoltre, tra i primi dodici porti italiani per trasporto di merci pericolose troviamo tre realtà isolane: Milazzo, Santa Panagia e, ancora, Augusta.
Secondo uno studio dell’Apat (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), oggi Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), a cura di Sara Morucci, la Sicilia rientra in una delle tre principali rotte per il trasporto di petrolio greggio dai pozzi del Nord Africa, del Mar Nero e del Mediterraneo Orientale verso i consumatori dell’Europa e del Nord America. A volte le sostanze tossiche possono essere ancora più pericolose del petrolio trasportato: ethylene, fertilizzanti, piriti, alluminio, fosfati, soda caustica, acidi, etc.
Uno studio del Rempec (Regional marine pollution emergency response centre for the mediterranean sea) ha catalogato, tra il 1977 e il 2003, 376 incidenti nel Mare nostrum con petrolio e 94 con sostanze pericolose e nocive, col conseguente sversamento di 304.700 tonnellate di petrolio e di 135.866 tonnellate di sostanze nocive e pericolose. Almeno 12 di questi incidenti si sono verificati nell’imminenza delle coste siciliane tra esplosioni, collusioni e altro genere, secondo la cartina della Rempec.
Oltre i danni ambientali l’Isola è già groviera, abbondantemente trivellata in quanto attualmente insistono 21 titoli minerari – 6 permessi di ricerca, 14 concessioni di coltivazione (nel dettaglio ci sono 13 titoli produttivi a gas e 5 a olio) e 1 permesso di ricerca di risorse geotermiche – e altre 11 istanze sono state presentate per il conferimento di nuovi titoli minerari.
Quindi ci sveniamo già abbastanza: la produzione siciliana nel 2009 (dati del ministero dello Sviluppo Economico) è stata di 325.180.295 Smc di gas e 556.084.000 Kg di olio greggio, cioè il 3,6% della produzione nazionale di gas (totale di 9.070.428 migliaia di Smc) e  il 10,65% della produzione nazionale di greggio (totale di 5.219.752 tonnellate). Tutto questo per 400 mila euro di royalties pagate interamente dalla Eni Mediterranea Idrocarburi.

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