La mafia mangia 20 miliardi dei siciliani - QdS

La mafia mangia 20 miliardi dei siciliani

Michele Giuliano

La mafia mangia 20 miliardi dei siciliani

mercoledì 26 Maggio 2010

Criminalità. Sicilia paralizzata dalla criminalità organizzata.
Imbrigliati. L’Università di Messina ha pubblicato uno studio che dà la dimensione globale del fenomeno mafioso nell’Isola: ad oggi resta imbrigliato nelle maglie della mafia il 25,4 del Pil prodotto.
Estorsioni. In Sicilia sono colpiti dal racket delle estorsioni l’80 per cento dei negozi di Catania e Palermo. Inoltre sono 150.000 i commercianti dell’Isola convolti in rapporti usurari.

Venti miliardi di euro. Questo il salatissimo conto che i siciliani pagano alla Mafia. Almeno un quarto della ricchezza prodotta in Sicilia dissipata tra i meandri della criminalità organizzata. L’Università di Scienze politiche di Messina ha stabilmente inquadrato così lo scenario economico siciliano anche in proiezione futura.
Una cosa è certa: il presente è impietoso e conferma un trend pericolosissimo per l’Isola, la cui produzione e ricchezza economica è imprigionata nelle logiche mafiose, in grado di prosciugare buona parte del prodotto interno lordo.
In mezzo a tutto questo, al di là dei freddi numeri, prolifica anche un mercato parallelo fatto di lavoro sommerso, evasione delle imposte, alterazione del mercato della concorrenza.
 
Una tendenza che sembra quasi obbligata all’imprenditore siciliano dal momento che negozi e aziende “devono” sborsare alle casse di Cosa Nostra qualcosa come un miliardo di euro l’anno, pari all’1,3 per cento del Pil regionale secondo un calcolo fatto dalla Fondazione “Rocco Chinnici”.
E stiamo parlando in questo caso solo di costi diretti e proporzionali al fatturato delle imprese. In realtà attorno gira un’economia, su cui grava l’indotto e tutto ciò che può essere collegato direttamente all’economia e alla produzione di ricchezza, dalle cifre mastodontiche.
L’Università di Messina ha pubblicato uno studio che dà la dimensione globale del fenomeno mafioso nell’Isola. A firmarlo è il docente Mario Centorrino, oggi assessore regionale, e i due ricercatori Elio Montanari e Ferdinando Ofria. I tre hanno ricostruito la “filiera”, se così si può chiamare, stimando che oggi il Pil globale siciliano è ingessato per ben il 25,4 per cento proprio dalle dinamiche di Cosa Nostra e dalla pressione che esercita sull’economia dell’Isola. Calcolando che oggi il Pil siciliano annuo ammonta a 85 miliardi di euro, si può quindi arrivare alla deduzione che ben oltre 20 miliardi vanno in fumo.
Il perché di questa dinamica così forte è presto spiegata: “In Sicilia – asserisce Sos Impresa della Confesercenti – sono colpiti l’80 per cento dei negozi di Catania e Palermo. Nei cantieri sotto controllo mafioso si lavora e basta. Diritti sindacali non esistono, le norme di sicurezza sono un optional. Quanto ai prestiti da strozzini, altra attività tipica di impiegare i soldi mafiosi, il numero dei commercianti coinvolti in rapporti usurari è oggi stimato in oltre 150 mila”.
L’alterazione del mercato sta proprio tutta qui: l’imprenditore o l’esercente deve contare su ricavi eliminando, oltre alle spese di gestione dell’attività, anche i costi della criminalità. Questo comporta la necessità di dovere ricorrere alla mano d’opera in nero o parzialmente irregolare, con evasione del Fisco, per eliminare alcuni costi a carico. E le cose possono andare molto peggio: entro il 2015 infatti Cosa nostra potrebbe arrivare anche a un giro d’affari di 41,583 miliardi di euro. Quantomeno questa è una delle ipotesi fatta proprio da Centorrino, Montanari e Ofria. Ci sono anche altre due ipotesi formulate meno disastrose: “Una – si legge nello studio dei tre esperti – presume che per gli anni di previsione vi sia un rapporto stabile tra il giro d’affari di Cosa nostra e il Pil della Sicilia: si arriverebbe così nel 2015 a un giro d’affari di Cosa nostra pari a 31 miliardi e 187,4 milioni, circa il 38 per cento del Pil totale.
Il secondo scenario prevede invece che il giro d’affari di Cosa nostra e il Pil della regione non sia stabile nel tempo ma grazie all’azione dell’antimafia il giro d’affari di Cosa nostra diminuisca di un terzo a partire dal 2009”.
A suffragare questa tesi anche l’Università di Palermo, a cui è stato commissionato uno studio sui costi dell’illegalità da parte della Fondazione “Chinnici”.
In pratica, la richiesta di pizzo va da un minimo di 32 euro al mese a una tabaccheria al massimo di 27 mila e 200 euro, sempre mensili, ai danni di un supermercato. La media ponderata ruota attorno ai 600 euro. Ma per quasi il 60 per cento del campione di imprese (oltre 2 mila) la morsa criminale si ferma sulla soglia dei 500 euro.

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