Quella vergogna dei pensionati regionali - QdS

Quella vergogna dei pensionati regionali

Carlo Alberto Tregua

Quella vergogna dei pensionati regionali

venerdì 16 Luglio 2010

Carriera corta, privilegi lunghi

Un amico mi chiedeva per quale ragione un pensionato di Reggio Calabria (statale, regionale o comunale) debba percepire un assegno molto inferiore di un pensionato regionale che abita di fronte, a tre chilometri, nel territorio di Messina.
Abbiamo preso l’iniziativa di controllare i parametri in base ai quali sono andati in pensione i dipendenti della Regione Siciliana e quelli dei dipendenti della Regione Calabria. In quest’ultimo caso, essi, essendo equiparati ai dipendenti dello Stato e a quelli degli enti locali, ne ricevono lo stesso trattamento, in termini di anzianità di servizio e di percentuale dell’assegno rispetto all’ultimo stipendio.
Per contro, i pensionati della Regione Siciliana hanno condizioni nettamente più favorevoli, perché possono andare in pensione in un tempo ridotto (anche 25 anni per i dipendenti affetti da handicap grave o loro congiunti), perché la percentuale dell’assegno pensionistico rispetto allo stipendio è parecchio più elevata.

Oltre quindicimila pensionati siciliani pesano sul bilancio della Regione per ben 613 mln €, in quanto il ceto politico isolano ha inteso usare l’autonomia per dare ai dipendenti e ai dirigenti una serie di privilegi inauditi che fanno inorridire chiunque ne viene a conoscenza. Come possiamo chiedere al Governo centrale equità quando noi, al nostro interno, l’equità non sappiamo cosa sia?
C’è di più e di peggio. Il ceto politico regionale, in questi 64 anni di autonomia, non ha voluto affidare all’Inpdap la gestione dei propri pensionati, perché in questo caso non poteva concedere loro i privilegi. Quindi, oltre al danno, anche la beffa per il portafogli dei siciliani.
C’è una terza questione gravissima e, cioè, che i pensionati attuali e quelli a venire, non essendo gestiti dall’Inpdap, hanno bisogno di un organo che li gestisca. Ha provveduto l’Assemblea regionale, su impulso di questo Governo, a istituire il Fondo pensioni, che solo di dotazione finanziaria e di risorse umane costa più di otto mln € l’anno.
Man mano che ricostruiamo i privilegi che la Regione ha concesso in tutti questi anni, ci accorgiamo che contemporaneamente essa ha scavato un baratro fra noi e le consorelle del Nord.

 
Considerare le pensioni pubbliche come un ammortizzatore sociale, il cui costo è sopportato dalla comunità siciliana, è un orrore politico e un comportamento indegno perché sparge tra la popolazione iniquità. Gente che ha lavorato (si fa per dire) qualche decennio e prende l’assegno per un periodo di vita più lungo di quello lavorativo è letteralmente uno sconcio.
Del peggio c’è il peggiore. Vale a dire che anche il trattamento di fine rapporto dei regionali siciliani è privilegiato rispetto a quello dei colleghi delle altre regioni. Citiamo un esempio per tutti: quando è andato in pensione il segretario generale dell’Assemblea regionale, Silvio Liotta, il suo assegno è stato di circa un milione di euro, oltre a una ricca pensione di oltre 10 mila euro al mese.
Come possono avere considerazione i poveri precari che prendono indennità da 700 euro al mese o i disoccupati che vivono molto male o i dipendenti con famiglia che guadagnano 1200 euro al mese?

Anche questo privilegio va abbattuto, ora e subito. Il Governo dia mandato all’Aran siciliana di uniformarsi sotto il profilo delle norme contrattuali e dei valori pensionistici e di Tfr al contratto nazionale degli statali, dei regionali e dei comunali. Con ciò eliminando in radice la contrattazione siciliana che non deve essere autonoma, ma deve in questo caso uniformarsi a quella nazionale.
Continuare a chiudere gli occhi su questo vergognoso privilegio non consente di alzare la voce quando lo Stato o le altre Regioni ce lo rinfacciano.
Mettersi le carte in regola significa essere più bravi degli altri, a parità di spesa, perché solo così si può dimostrare di possedere più intelligenza e più conoscenza, nel senso di stabilire chi ha merito nel raffronto continuo che ci dev’essere fra tutte le pubbliche amministrazioni, e fra il settore pubblico e quello privato. 
Non ci stancheremo mai di battere questo tasto e continuiamo a ribadire che la Sicilia deve rinascere all’insegna del merito e della responsabilità, senza stare con la mano tesa per chiedere, ma ribadendo il proprio diritto ad avere ciò che gli compete in base al patto costituzionale scritto nello Statuto, in quanto Regione virtuosa.

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