I sindaci piangono ma non tagliano - QdS

I sindaci piangono ma non tagliano

Francesco Torre

I sindaci piangono ma non tagliano

giovedì 28 Ottobre 2010

Enti locali. Le finanze dei Comuni e le manovre possibili.
Falsa miseria. I trasferimenti statali e regionali non diminuiscono: i rendiconti economici dimostrano che il quadro si mantiene pressoché identico tra un anno e l’altro.
Introiti propri. Oltre a cancellare le uscite non indispensabili (e ce ne sono tante) le amministrazioni devono recuperare evasione fiscale e morosità, garantendosi anche le entrate “extra”.

PALERMO – Per i sindaci dei Comuni siciliani c’è poco da stare allegri. Il cappio del Patto di stabilità si stringe attorno al loro collo e non è più possibile amministrare come è stato fatto in passato.
Occorre un cambio di marcia basato su un decisivo taglio agli sprechi, una reale diminuzione della spesa corrente (cattiva e improduttiva) e un incremento sensibile degli investimenti, che possono colmare il gap infrastrutturale con il resto d’Italia e produrre lavoro per i tanti, troppi, disoccupati siciliani.
Il tutto condito da un’indispensabile giro di vite sulla lotta all’evasione fiscale, evitando di aumentare le tasse (solo per fare pagare di più gli onesti) e recuperando semplicemente quanto spetta al Comune da chi, per anni o addirittura decenni, non ha mai pagato nulla.
 
Ben 3 miliardi e 20 milioni di euro. Questa la spesa globale annuale dei nove Comuni capoluogo siciliani. Vi sembra un’enormità? Lo è, in effetti. Basti pensare che con la stessa cifra a Roma si costruirà la quarta linea della metropolitana, che si snoderà per 20 chilometri lungo le strade della capitale e sarà tutta automatica, con treni che sfrecceranno ogni 90 secondi e con  climatizzatore e wi-fi integrati nei vagoni.
In Sicilia, al contrario, gli investimenti sono fermi al palo, le casse dei Comuni sono asfittiche e i sindaci piangono miseria guardando con preoccupazione alla manovra finanziaria varata dal Governo e minacciando di dover essere costretti ad aumentare le tasse ai cittadini per poter garantire i servizi essenziali. Tutto questo mentre spendono annualmente l’equivalente del costo generale di una delle opere pubbliche più imponenti mai varate in Italia e in Europa.
FALSI MITI – Un rapido sguardo ai bilanci consuntivi anno 2009 e 2008 (laddove non disponibile il documento più recente) dei nove Comuni siciliani, e un altrettanto veloce confronto con i dati dell’anno precedente, consentono innanzitutto di sfatare alcuni falsi miti, frutto della propaganda politica e della pratica, attuata ormai a tutti i livelli e assurta a regola del contraddittorio pubblico, dello scaricabarile.
Innanzitutto, i trasferimenti pubblici da Stato e Regione non sono affatto diminuiti, anzi. Solo per fare un esempio, il Comune di Palermo nel 2007 aveva ricevuto 490 mln €, mentre per il 2009 registra trasferimenti pari a 560 mln, con un aumento cioè di 70 mln, a parte altre regalie di cui parleremo più avanti. E il dato trova riscontro anche in tutti gli altri Comuni siciliani.
In secondo luogo, non è assolutamente vero che l’incapacità atavica delle nostre amministrazioni di fare cassa sia dovuta al basso numero di dipendenti, non corrispondente a quanto indicato nelle piante organiche.
Ciò è dimostrato dal fatto che, nel 2009, la diminuzione di diversi milioni di euro della spesa generale per il personale (dovuta ai pensionamenti e alla non attivazione di procedure per nuove assunzioni), non ha comportato alcuna diminuzione degli accertamenti delle entrate extratributarie, che invece – seppur di pochissimo – sono aumentate pressoché dappertutto.
COSTANTI – In buona sostanza, i rendiconti mostrano un quadro economico pressoché identico a quello dell’anno precedente, così riassumibile: i nove Comuni capoluogo siciliani sono totalmente incapaci di recuperare risorse in autonomia e si sostengono esclusivamente grazie ai trasferimenti di Stato e Regione, che comunque non bastano a coprire tutte le spese della macchina burocratica e a garantire i servizi minimi al cittadino; con quali conseguenze? L’aumento delle tasse fino al limite consentito dalle leggi, innanzitutto, ma soprattutto il ricorso al prestito, e il conseguente aumento del debito.
In questo senso, e sempre collegandoci ai conti del Comune più grande, quello palermitano, il pareggio tra entrate e uscite viene garantito unicamente in virtù dell’inserimento di una somma di 140 mln di euro indicata come anticipo di cassa, da aggiungere al maxi prestito di 112 mln con la cassa depositi e prestiti per debiti fuori bilancio. Ipoteche sul futuro, è questo l’unico modo riscontrato dalla nostra classe politica per far fronte alle necessità di bilancio e arrivare al pareggio contabile. Ma a quale prezzo? Le fasi ipotizzabili sono quattro: compromissione totale dei futuri bilanci; diminuzione dei servizi al cittadino e al contempo iniquo aumento delle imposte; necessità di ricorrere a nuovi debiti per pagare i vecchi; azione di accattonaggio, infine, nei confronti di Regione e Stato. Ecco il percorso standard che porta dritto dritto verso il dissesto finanziario.
Esempi? Nel 2008 il bilancio del Comune di Catania è stato condotto al pareggio solo in virtù di un maxifinanziamento statale di 140 mln di euro. Nel 2009 il Comune di Palermo ha avuto una regalia di 50 mln sempre dallo Stato per la “passività nei confronti delle società partecipate affidatarie del servizio gestione dei rifiuti e igiene ambientale”, soldi indispensabili per non dichiarare bancarotta, mandare a casa centinaia di dipendenti  delle Spa e interrompere il servizio. Perché, e questo è evidente a tutti, nel concreto il dissesto finanziario si traduce in questo modo: con una crisi sociale generale.
LE RISPOSTE – Sarebbe auspicabile un taglio delle spese? Certo, anche se tutte le analisi di benchmarking fin qui condotte dal nostro giornale dimostrano che i nostri Comuni non hanno spese correnti superiori a quelle delle cosiddette “gemelle del Nord”, quindi probabilmente il problema va spostato dal “quanto” al “come”, ovvero garantendo maggiori introiti alle casse dei nostri enti locali, anche con voci “extra”.
E quali sono nello specifico le voci di queste entrate “extra”? Presto detto: sanzioni per violazioni del codice della strada, utili delle società partecipate, proventi da refezione scolastica, rette e trasferimenti asili nido, rette ricovero anziani, e poi Cosap, attività teatrali, musei e altri proventi da Beni dell’amministrazione. Tutti settori, soprattutto quello delle società municipalizzate e partecipate, che tuttalpiù da noi producono perdite.
Inoltre – i dati ce lo dicono chiaramente – per far ripartire gli investimenti i tagli non bastano. Se il Comune di Verbania (31 mila abitanti) recupera annualmente 12 mln di euro di entrate extratributarie e quello di Enna (28 mila abitanti) ne ottiene alla stessa voce solo 2, capiamo bene quanto possano essere diverse le capacità di spesa dei due enti, e di conseguenza i servizi al cittadino erogati e gli investimenti sul territorio.
Come è possibile, ultimo esempio, che un Comune delle dimensioni e dell’importanza sul mercato dei consumi come Palermo incassi solo la miseria di 35 mila euro l’anno come proventi per la pubblicità? è qui, in queste voci di bilancio, che sta tutto il fallimento della classe politica e dirigenziale pubblica siciliana.

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